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Timballo: dalla Sicilia al film Big Night

di Daniele De Sanctis • Pubblicato 30 Ottobre 2014 Aggiornato 16 Marzo 2016 17:08

Il timballo è un piatto elaborato e ricco a cui sono stati dedicati passaggi di libri e scene memorabili di film. Abbiamo provato a ripercorrerne la storia.

Il timballo è un piatto unico che si cuoce in uno stampo detto timpano, a forma di campana; pare che il suo nome derivi proprio dal recipiente di cottura: timpano, timballo, tamburo, sour tout. il timballo comprende gli ingredienti più disparati, dalla pasta alla carne, alle uova, ai salumi, alle verdure Diverso negli ingredienti a seconda della disponibilità, è un piatto molto ricco in uso nelle feste e nelle grandi occasioni. Gli ingredienti sono i più disparati: dalla pasta al riso, alla carne (sia in forma di ragù che in polpettine) a cui poi si aggiungono uova, salumi, affettati o anche solo verdure varie e qualsiasi cosa la dispensa di casa e l’intelligenza del cuoco permettano. Deve essere preparato per tempo e calma aggiungendo gli ingredienti, che spesso sono cotti separatamente e, come dice Massimo Montanari nel libro Il Riposo della Polpetta, lasciati riposare. I tempi e le cotture variano per acidità e sapore e, a seconda dei tempi di cottura, gli ingredienti sono mescolati all’interno di una pasta all’uovo o sfoglia, oppure pasta frolla o fillo.

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Esistente nella cucina siciliana dai tempi degli arabi, dal timballo derivano il sartù e alcune tielle. In Sicilia la tradizione gastronomia sopravvive anche alla fine dell’Impero e continua a sperimentare, si arricchisce di suggestioni arabe. La farina impastata con l’acqua e modellata in piccoli formati, seccata e poi bollita, è l’antenata della pasta: il geografo arabo Idrisi la descrisse in un suo trattato del 500; da essa derivava un formato chiamato itryah, sorta di vermicelli prodotti a Trabia (vicino Palermo) in quantità tale da essere esportata. Alla fine del ‘500 il segretario di Lucrezia Gonzaga scriveva a un suo amico: “Veramente ti porto grande invidia, perché giungerai nella ricca isola di Sicilia e mangerai di que’ maccheroni“, cotti con grassi capponi e caci freschi, conditi con zucchero e cannella da “liberale e larga mano“. Nella cucina napoletana, tra i cuochi di corte tra il ‘700 e l’800, i timballi erano di moda: le ricette sono riportate sia da Vincenzo Corrado, sia da Ippolito Cavalcanti. Il timballo napoletano per eccellenza è quello di riso (il sartù), mentre a Palermo si usa quello con gli anelletti, le melanzane e alle volte calamari e pesce.

Alain Delon, Claudi Cardinale
Il gattopardo (Luchino Visconti, 1963)

Una delle versioni siciliane più nota è quella descritta da Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo (Einaudi, 1958): “Il principe (di Salina) aveva troppa esperienza per offrire agli invitati siciliani in un paese dell’interno, un pranzo che si iniziasse con un potage, e infrangeva tanto più facilmente le regole dell’alta cucina in quanto ciò corrispondeva ai propri gusti. ne il gattopardo di giuseppe tomasi di lampedusa si descrive con dovizia di particolari un sontuoso timballo di maccheroni Ma le informazioni sulla barbarica usanza forestiera di servire una brodaglia come primo piatto erano giunte con troppa insistenza ai maggiorenti di Donnafugata perché un residuo timore non palpitasse in loro all’inizio di ognuno di questi pranzi solenni. Perciò quando tre servitori in verde, oro e cipria entrarono recando ciascuno uno smisurato piatto d’argento che conteneva un torreggiante timballo di maccheroni, soltanto quattro su venti persone si astennero dal manifestare una lieta sorpresa: il principe e la principessa perché se l’aspettavano, Angelica per affettazione e Concetta per mancanza di appetito (…) L’aspetto di quei babelici pasticci era degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un vapore carico di aromi, si scorgevano poi i fegatini di pollo, gli ovetti duri, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi impigliate nella massa untuosa, caldissima dei maccheroncini corti cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”.

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Nella nostra era il più sontuoso o scenico dei timballi, un po’ per amore del cinema o per campanilismo, è quello celebrato nel film Big Night un film del 1996 diretto da Campbell Scott e Stanley Tucci. La pellicola racconta le avventure tragicomiche di due fratelli abruzzesi: Primo e Secondo Pileggi, emigranti negli Stati Uniti negli anni ‘50 dove hanno aperto un ristorante. Primo, lo chef, è legato alla tradizione della cucina abruzzese e nel film dice: “Chi mangia bene sta molto vicino a Dio“. Il fratello, Secondo, è l’amministratore e lo chef de sale, che cerca invece di accontentare i gusti della sparuta clientela, composta da americani con una visione distorta della tradizione culinaria italiana. Gli affari vanno male e i due fratelli decidono di organizzare un grande evento all’interno del ristorante, una big night appunto, in cui ospitano il cantante italoamericano Louis Prima. I due fratelli esauriscono i pochi soldi che hanno con un banchetto degno di un re ma Louis Prima non si presenta e la festa finisce in tragedia. Il piatto principe della disastrosa cena è il timpano, ossia il timballo di pasta.

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Nel film di Tucci e Scott si assiste alla memorabile scena della preparazione del timballo, dall’inizio all’arrivo a tavola, con un omaggio finale al capolavoro del regista Luchino Visconti, una citazione nella citazione. per preparare il timballo è necessario giocare d'anticipo e preparare sugo e polpettine il giorno prima in cui s'intende servirlo La ricetta del timballo di Big Night prevede questa struttura: sugo, maccheroni, burro, provola, parmigiano grattugiato, polpettine di carne. Per il sugo ci vogliono carne di maiale e manzo, cipolle, pancetta tagliata a fettine, olio di oliva, strutto, vino secco e corposo, rosmarino, timo, basilico, concentrato e passata di pomodoro, sale e pepe; per le polpettine: carne cotta nel sugo, prezzemolo, uova e sale; per la frolla salata: farina, zucchero, strutto, tuorli, sale. Il giorno prima bisogna preparare il sugo, cuocendolo per almeno 4 ore, fino a quando non avrà acquistato una densità quasi sciropposa. Lasciate raffreddare la carne, tritatela finemente e preparate le polpette: dovranno avere la dimensione di grandi nocciole. Una volta sbrigato questo passaggio, preparate la pasta frolla impastando velocemente con le mani tutti gli ingredienti, in modo da ottenere un composto omogeneo; lasciatela riposare almeno un’ora ricoperta con un panno umido al freddo. Nel frattempo friggete le polpettine in abbondante olio. Il giorno del banchetto lessate i maccheroni, scolateli molto al dente, conditeli con il sugo, il burro, abbondante parmigiano, e fateli raffreddare. Imburrate un timpano o una tortiera, ricoprite il fondo e i bordi con la pasta frolla, disponete i maccheroni, distribuiteci sopra le polpette di carne, la provola a dadini, spolverizzate con il parmigiano, coprite con la pasta frolla premendo bene i suoi bordi. Spennellate la superficie con dell’uovo sbattuto e fate cuocere per circa 45 minuti nel forno a 180 °C. Lasciatelo riposare servitelo a fette generose.

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Il timballo è un piatto sontuoso, una specie di torta con sorpresa di carne e sugo, una meraviglia. Le reazioni dei commensali nel film e nel racconto sono di stupore, di sorpresa: è una Pasqua degli occhi, del cuore e dello stomaco, da preparare con amore e tempo dedicato.

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