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DiverXo: avanguardia o morte

di Lorenza Fumelli • Pubblicato 27 Febbraio 2015 Aggiornato 23 Febbraio 2016 11:25

Siamo stati nel tempio dell’alta cucina rock, la tavola più trasgressiva, celebrata dalle 3 stelle per la guida Michelin: Diverxo, di David Munoz.

“Avanguardia o Morte”. Suggestivo no? Mi fa venire voglia di scrivere poesie da leggere al contrario senza punteggiatura, di vestirmi nei modi più strani e camminare per Roma come fosse Londra, di tagliarmi tutti i capelli lasciando una piccola cresta rossa per poter assomigliare a David Muñoz. Chi è David Muñoz? È un cuoco spagnolo che ha fatto stampare quella frase, “Vanguardia o Muerte”, su tutte le divise dello staff di cucina. Oppure: è un giovane cuoco che poco dopo i trent’anni è stato insignito delle 3 stelle, il massimo possibile per la Guida Michelin. O anche: è un giovane chef diventato famoso grazie a un video molto bello, realizzato per il suo ristorante DiverXo, tempio della cucina cerebrale non a caso in Calle Pensamiento 28, a Madrid. Ecco il video:

Sono stata da DiverXo e c’ho messo un po’ per metabolizzare l’esperienza e sì, mi è piaciuto. Lo dico subito perché dopo potrebbe sembrare molto meno chiaro.

La sala

Diverxo

È l’ambientazione perfetta per un video rock, è un film di Tim Burton. Maialini rosa con le ali nere si alternano a formiche giganti lungo le scale, per poi infilarsi nelle mura della sala, volare sul soffitto e decorare ogni angolo. Ci sono centinaia di farfalle sulle pareti del bagno e un mare di oggetti che Kubrick di Arancia Meccanica invidierebbe. Sembra di stare dentro un enorme caleidoscopio.

sala

Il clan di sala è unito e compatto, orgoglioso. Sembra dire: “Guardaci, siamo proprio noi, lo staff del ristorante più fico del mondo”. Qualcuno ha dello smalto colorato sulle unghie, tutti indossano occhiali neri, grandi, senza lenti e anfibi. Le tute sono quelle da meccanico, rosse o blu o verdi. Si muovono perfettamente coordinati, qualcuno sorride, quasi tutti parlano solo spagnolo, un paio di loro si esibiscono in un inglese incerto, ma divertente.

tavolo diverxo

Ci fanno accomodare intorno a un tavolo di plastica bianca sotto una struttura a baldacchino, le tende candide raccolte da un nastro. Le nostre luci sono ancora spente, la tovaglia è un foglio di carta sul quale poggiano gelatine e sfoglie “ma non toccate ancora niente”. Una tela bianca da dipingere, questo è il senso di tutta la mise en place di DiverXo. Non a caso, le portate si chiamano canvas (tela).

Scena della cena da Beetlejuice
La cena nel film Beetlejuice

Il sommelier non ricorda bene la lista dei vini in carta e ci chiede di indicare lo champagne Jacquesson 2000 con il dito, però i ricarichi sono invitanti e finiremo per spendere 90€ per il primo, e 50€ per un Benoit Lahaye 2005. Quando le luci si accendono, sotto e sopra di noi, si apre il sipario e inizia lo spettacolo. Non vuole essere una frase evocativa, è esattamente quello che succede. I fari ci illuminano a giorno e per il clan è il segnale che la nostra cena può iniziare, sembra di essere catapultati sul proscenio per accorgersi presto, però, che le star non siamo noi e che il deus ex machina è Muñoz, nascosto in cucina a muoverci come burattini. Mi ricorda la cena degli ospiti posseduti in Beetlejuice, dell’adorato Burton.

sala

Ci hanno insegnato che al ristorante il cliente è il centro dell’esperienza, ma se si interpreta la cena come parte di uno spettacolo teatrale il rischio di sbatterci a far le comparse è dietro l’angolo. Ok, diciamo che non c’è nessun dogma, mettiamo che tutto si può stravolgere, tutto può cambiare quando si fa avanguardia, e ipotizziamo che il cliente, tolto dal piedistallo, entri in un mood che lo prepari meglio ad accogliere nuove emozioni. E diciamo che mi piace, mi interessa questo genere di stupro emotivo, ma solo se chi lo esegue lo fa alla perfezione, perché altrimenti diventa grottesco quanto un film dell’orrore recitato male. Le unghie colorate non bastano e la sala evidenzia alcune debolezze, la magia non si compie.

La cena

David Munoz
David Munoz

Ma Muñoz ha un’arma potentissima, quella che anche sola può rendere grande un ristorante: la sua cucina. È bravo, spudoratamente tecnico, in grado di spingersi sempre fino al limite senza però attraversarlo mai. Quasi mai. Fortemente influenzato dalla tradizioni gastronomiche degli altri, esegue una cucina di fusione, dove l’Andalucia è il punto di partenza, il resto del mondo quello d’arrivo.

Entrè Diverxo

Metà dello staff di cucina lavora al centro della sala e sono loro a consegnare e terminare il piatto al tavolo. Sul foglio di carta bianco sono sistemati ingredienti elaborati in forme e consistenze diverse: gel, creme, sfoglie croccanti, e c’è sempre un ordine d’assaggio da rispettare. Il primo esercizio è tutto sul mais, dai pop-corn alle due portate più complesse, consegnate a canone: una arriva a tavola ancor prima che l’altra sia finita. Sono parte di un solo discorso.

Mais 1 corretto

Una crema gialla e luminosa racconta le note più dolci, fresche, acide del mais, con litchis e aji giallo, un peperoncino tipico del Perù non molto piccante. Subito dopo arriva un piatto che prende in consegna i sapori più forti, di terra, con tartufo nero e huitlacoche, un fungo che colpisce il mais, considerato in Messico cibo prelibato. Il twist si conclude così, ed è intenso, ragionato, buono al palato.

Mais 2 corretta

Il canone è la cifra stilistica del servizio, ogni piatto arriva a tavola e poi si completa con un gesto successivo. La sala in questo gioco è un cronometro perfetto, mai un errore, mai un ritardo. Le 10 portate del menu più breve (€145) si susseguono piuttosto velocemente e per comprendere quello che ci viene servito ci vuole pazienza, attenzione e un comodo accesso ai motori di ricerca.

Baby anguille

Il Caviale di montagna per esempio: un caviale vegetale composto dai semi di un’erba conosciuta come Bassa Scoparia, noto in Giappone come tonburi, qui è servito con le baby anguille e due crocchette ripiene di besciamella al kimchi. Per palati allenati.

Gamberetto

Le canvas sfilano a tavola e alternano concetti e tecniche estremamente complicati a pietanze più comprensibili e gustose, passando per un gioco malizioso e cinico che credo abbia come unico scopo quello di divertire i nostri carnefici: si tratta del gambero rosso in due cotture. Una parte del piatto è appesa a una lenza e scende direttamente dal soffitto: per mangiarlo, ci dobbiamo alzare, spalancare la bocca e ingoiare il gamberetto fritto in un boccone solo, senza l’aiuto delle mani. Il pesce che abbocca sei tu, sembra ghignare David dalla sua tana, dalla quale non esce mai. L’altra parte della portata arriva per fortuna su classico supporto.

Gambero rosso

Un gambero rosso con raviolo cinese su crema allo zafferano che non ti toglie del tutto dall’imbarazzo, ma ti consola almeno un po’.

lisca

E tra zuppe di teste di polpo saporite da togliere il fiato, guance di pesce grasse e volutamente viscide, lische d’alici fritte che si lasciano mangiare, arriva The love and the duck, quello che ho amato di più.

Cuore di anatra

Curioso: Muñoz lo chiama in carta “L’amore e l’anatra” e stupisce che dopo il viaggio in cui ci ha condotti sino ad ora, senta il bisogno di mascherare l’ingrediente nel timore che l’ospite se ne risenta: si tratta del piccolo cuore, splendido da vedere e da mangiare.

Finale francia

Quando ormai sono sfinita, vinta, soggiogata da sapori tanto particolari, succede qualcosa di bello: le tende bianche strette dal nastro si sciolgono e sfilano intorno al baldacchino. Ci chiudono dentro, lontano dallo spettacolo e dal teatro, finalmente soli per qualche minuto. Una piccola radio atterra sul tavolo, trasmette a loop una canzone francese che in men di un secondo ci catapulta nei ’70, con bicchiere di vino rosso dolciastro e 13 piccoli assaggi che David Muñoz dedica alla Ville Lumière.

Dolce

Due dolci non indimenticabili, giocati su toni semplici, chiudono il percorso. Scende il sipario e resta il conto da pagare, il rapporto qualità prezzo è decisamente buono. Una curiosità: in questo piccolo tempio dello show-off gastronomico, neanche un saluto da parte del cuoco al suo pubblico adorante. In fondo, a differenza di altri, non sente l’esigenza di raccogliere gli applausi. L’ho apprezzato.

StreetXO

Tornerei da DiverXo? Sì, tra un paio d’anni. Prima però farò un salto da StreetXO in Calle de Serrano 52 a Madrid, il nuovo tempio della cucina rock firmato, naturalmente, David Muñoz.

Il progetto StreetXO sta per diventare un franchising, lo troveremo a Londra, Tokyo, Dubai, e chi più ne ha.

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