Home Cibo Sulle tavole piemontesi: tajarin al sugo d’arrosto

Sulle tavole piemontesi: tajarin al sugo d’arrosto

di Walter Farnetti 18 Marzo 2016 09:10

I tajarin sono un formato di pasta fresca tipico del Piemonte, simile ai tagliolini, da servirsi con un sugo d’arrosto: ecco cosa racconta la tradizione.

Dove i fiumi Tanaro, Belbo, Bormida scorrono tra dolci colline, nelle Langhe raccontate da Cesare Pavese o da Beppe Fenoglio, tra gli agriturismi che impreziosiscono il Monferrato, una pasta di cascina che va preparata secondo tradizione, con la forza delle mani una donna è considerata degna di matrimonio solo se sa fare i tajarin. Simili ai taglierini delle Marche, c’è chi li definisce semplicemente tagliolini e chi li confonde coi capelli d’angelo. Per dirimere ogni controversia, i veri tajarin della provincia di Cuneo sono lunghi fili di pasta all’uovo, con larghezza di due o tre millimetri e sezione piatta; lo spessore non deve superare il millimetro. Una pasta di cascina, di territorio, che va preparata secondo tradizione, impastata con la forza delle mani.

tajarin

La versione diventata canonica prevede un uovo per ogni etto di farina; gli innovatori utilizzano 2 uova e 4 tuorli per mezzo chilo, ma c’è anche chi si spinge a usare 6 uova intere. la ricetta più antica prevede una quantità elevata di tuorli, da 22 fino a 30 Nel suo ricettario della cucina italiana, Gualtiero Marchesi consiglia di miscelare 400 grammi di farina bianca, 3 uova intere, sale e olio. Chi cerca di rifarsi alla ricetta più antica (pare che risalga addirittura al quindicesimo secolo), si arrischia a mescolare un chilo di farina 00 con ben 22 tuorli;  ma negli agriturismi delle Langhe non è raro trovare coraggiose massaie che osano rompere nell’impasto anche 40 tuorli.  L’amalgama deve comunque essere liscio, compatto, elastico, irrobustito con qualche cucchiaio d’olio d’oliva e un pizzico di sale; gli amanti delle origini aggiungono anche una manciata di formaggio parmigiano. La sfoglia che ne deriva è sottilissima e può essere stesa su farina di mais o semola; una volta arrotolata, è affettata con lama affilatissima, per un taglio netto e fine. Dopo averli fatti asciugare, ai tajarin bastano 3 o 4 minuti per essere cotti e conditi.

tajarin freschi

Il condimento è fondamentale, quasi più tradizionale della pasta stessa. Pochissime sono le varietà concesse, tutte legate al territorio, con ingredienti estratti dal ricco paesaggio circostante. Funghi porcini, tartufo, Salsiccia di Bra, oca e anatra, burro, salvia; nel novarese si servono con pesto di noci, in provincia di Torino con punte d’asparago. Una delle ricette più tipiche potrebbe risultare estrema per molti palati, ma restituisce tutto il gusto delle aie piemontesi: i tajarin con comodino di frattaglie, per cui ci si mette ai fornelli almeno 3 ore prima di servirli. Il soffritto è decisamente ricco (olio, burro e lardo con aglio, cipolla, sedano, prezzemolo, rosmarino e salvia), il sugo è il trionfo delle interiora: oltre alla salsiccia sbriciolata, si aggiungono fegatini di pollo e coniglio, creste, cuori, rognoni; per un ulteriore preziosismo, funghi secchi rinvenuti nel marsala. Dopo aver legato la salsa con qualche cucchiaio di passata di pomodoro o pomodori interi pelati, si lascia cuocere a fuoco bassissimo per ore, almeno due. I tajarin sono scolati nel sugo e amalgamati con burro fuso e parmigiano.

tajarin al sugo d'arrosto

Il piatto che mette d’accordo tutti, invece, che continua a rappresentare la vera grande portata delle feste consiste nei tajarin al brucio, ossia i tajarin con sugo d’arrosto; piatto che sa di domenica, di profumi che invadono la casa intera, tagliano la nebbia. la carne arrosto è servita come secondo piatto; il sugo va a sposarsi con i tajarin L’olio d’oliva è scaldato per soffriggere uno spicchio d’aglio, una cipolla, una carota, un gambo di sedano; la carne di bovino (meglio se girello o pancia di vitello), va bagnata con del buon vino rosso prima di essere messa a rosolare; quando il composto comincia a imbrunirsi, si aggiunge qualche altro cucchiaio di vino rosso, concentrato di pomodoro e soprattutto alloro, salvia, timo, qualche grano di pepe e una generosa porzione di rosmarino. Il sughetto va allungato con brodo o fondo bruno, per poi cuocere a lungo, alcune ore. La carne è allora estratta (costituirà infatti il secondo piatto) e il sugo filtrato, affinché i succhi restino densi e compatti; c’è chi lo lascia riposare una notte intera, per conferirgli maggiore corposità. Il giorno successivo avviene la magia: i tajarin sono scolati al dente e saltati nel sugo finché non l’avranno mirabilmente assorbito, con qualche manciata di parmigiano. Per insaporire il soffritto si può aggiungere anche qualche dadino di pancetta, mentre molti piemontesi arricchiscono il composto con funghi porcini o champignon tagliati a fette. Per un’armonia perfetta, devono essere serviti con i prestigiosi vini delle Langhe, Barbera, Nebbiolo, Barbaresco, perdendosi nella quiete che Pavese ha descritto con commozione: Sei un chiuso silenzio / che non cede, sei labbra / e occhi bui.

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