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Pino Cuttaia: la cucina della memoria

di Roy Paci • Pubblicato 4 Dicembre 2013 Aggiornato 17 Giugno 2014 11:01

Pino Cuttaia è lo chef e proprietario del ristorante La Madia di Licata. Roy Paci racconta la sua esperienza a tavola con il grande chef siciliano.

“Bisogna avere buona memoria per poter mantenere le promesse” (cit. Nietzsche). Ho pensato e ripensato a come iniziare a parlare di lui e alla fine ho deciso che raccontare chi è, per me, Pino Cuttaia doveva andare oltre la descrizione dei suoi piatti. Sia beninteso che mangiare a La Madia (a Licata, in corso Re Capriata 22) è un’esperienza impossibile da dimenticare e che la sfilata di sapori, colori e consistenze alla quale si partecipa è una vera e propria passeggiata nell’Arte Culinaria. Una sfilata di sapori e colori che non si dimentica, come un tatuaggio sulla linguaA colpirmi in particolar modo la “maiolica” di alici arrostite e ricotta, la sua sbalorditiva Nuvola di Caprese che si dissolve veloce in bocca ma è come un tatuaggio sulla lingua, non te lo scordi più. Poi l’Uovo di Seppia che ormai da tempo è il suo piatto simbolo e il polpo “mille leggende” adagiato sulla sua acqua di cottura solidificata per ricordare uno scoglio nel mare. Insomma una serie di immagini gustative che non si possono raccontare solo con le parole. Bisogna mangiarle, punto. Ci siamo messi a parlare, seduti al tavolo con un bicchiere senza tempo di marsala Vecchio Sampieri tra le mani. Il servizio è finito, ora ci si può rilassare.

Maiolica, Pino Cuttaia
Quadro di alici

Pino Cuttaia si definisce un uomo e uno chef logico. Non assaggia i suoi piatti per paura di bloccarsi, si allontana da chi lo ritiene un artista perché gli artisti, dice, sono imprevedibili, inaffidabili invece la ristorazione esige delle regole, un rigore. “Io sono un artigiano, un lavoratore con una grande conoscenza della materia. La controllo, la faccio ragionare e reagire come voglio io ma non invento niente. I miei sono piatti della tradizione, sono qui da sempre. È crescendo che ho capito cosa potevano dire”. Questo percorso di maturazione, di crescita continua è un filo rosso nella vita di Pino.

Pino Cuttaia

Nato e cresciuto in una famiglia tutta al femminile, trasferitasi dalla Sicilia al Piemonte, mi dice che molte cose non gli venivano spiegate, erano così e basta. “Mia nonna si ostinava a mettermi sempre un fazzoletto in tasca, uno di quelli di tessuto, piegato in quattro. Io lo odiavo, mi dava fastidio quando si appallottolava. Solo qualche anno fa ho capito che quel fazzoletto non serviva unicamente a soffiarmi il naso per il raffreddore. Era un modo con il quale la mia famiglia si proteggeva all’esterno. Quando lo usavo, stavo compiendo un gesto di educazione e rispetto e in questo modo io e tutti loro venivamo considerati gente per bene. La stessa cosa faccio in cucina. Nessuno mi ha insegnato a capire il cibo, ci ho messo anni a imparare come trattarlo, come rispettarlo. Memoria e comprensione, ecco la mia cucina.”

Caprese, Pino Cuttaia
Nuvola di Caprese

Quando gli sento raccontare questi aneddoti mi sembra di camminare attraverso intervalli spazio-temporali che racchiudono tutto lo stupore di una musica assoluta. È naturale per me pensare alla musica quando parlo con le persone e tentare ogni volta di trovare quella che più “assomiglia” al mio interlocutore. Con Pino è quella ricca di antiche evoluzioni enarmoniche, che fanno capolino da un pentagramma all’altro per sfociare in un crescendo assoluto di suoni forti e trionfali come solo il maestro Morricone, negli orchestrali di ‘The Red Tent”, è riuscito a fare.
Ogni suo gesto, e non solo per comporre il piatto, è accompagnato da segni e movimenti degni di un Von Karajan di fronte all’Inno alla Gioia. La sua sommessa ma elegante narrazione è paragonabile alla voce implosa di un muezzin che ricorda il dovere di ringraziare la terra e tutti coloro che, con grandi sacrifici, la lavorano e la rendono viva.

"Uovo di Seppia"
“Uovo di Seppia”

Ho fatto fatica a non commuovermi guardando i suoi bambini gironzolare dentro a “Uovo di Seppia”, il negozio/dispensa di prelibatezze che Cuttaia ha coraggiosamente aperto a due passi dal ristorante. Tre bambini che, tra un gioco e l’altro, custodiscono il rigore di un padre che, nonostante lo scoraggiante (per tutti ma non per lui) decentramento geografico, riesce a dare bellezza anche ad un semplice “coccio” di pietra costantemente bagnato dal mare di Licata.
Tra le cose che non devo assolutamente dimenticare oggi, mentre mi accingo a fare la valigia per partire verso altre destinazioni, è lo stupore della mia terra. Quella che attraverso Pino Cuttaia appare semplicemente incommensurabile.