Parola agli esperti: qual è stata la tua cena della vita?
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Agrodolce ha chiesto a chef, critici gastronomici e personaggi dello spettacolo quale sia stata la loro cena della vita: ecco le risposte.
Può essere un’esperienza alla vedi Napoli e poi muori, può essere un’epifania o una sorpresa del tutto inaspettata, un interruttore che fa click nel cervello, una one shot dinner: comunque è indimenticabile. Abbiamo chiesto a chef, critici gastronomici, personaggi dello spettacolo qual è stata la cena della vita: ecco le loro risposte.
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Rock’n roll (come sempre) Andrea Petrini, Food Curator e mente creativa di Gelinaz!: “Ultimamente, la scoperta, su cui non mi ero sbagliato, è che - per ordine alfabetico - Andoni, Davide, Ferran, Fulvio, Inaki, Magnus, Marc, Massimo, René, Rudy - non sono i soli depositari del Verbo e che i piatti e le situazioni più singolari non nascono obbligatoriamente da anni e anni di ricerche dimostrative, ma anche dal guizzo e dall’evidenza più estrema. La cena non della vita, ma quella che ricorderò per tutta la vita fu nell’agosto scorso da Riccardo Camanini al Lido 84 di Gardone Riviera, seduto in prima fila al molo sotto la più Serious Moonlight vista dai tempi di David Bowie. Un piatto falsamente über-semplice: Spaghettoni burro e lievito di birra, qualcosa di regressivo (l’amaro-dolce) e di rottura (l’acidità del lievito di birra), qualcosa di instabile e di perfetto assieme - un piatto di pura sottrazione e intoccabile con niente da aggiungere o niente da togliere ancora - come un vestito monocromo di Martin Margiela. Lo stesso piatto che poi fu proprio quello della vita per Alain Ducasse: lo disse lui stesso al Presidente della Repubblica Francese François Hollande mentre erano a colazione con Alain Soliverès della maison Taillevent”.
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Pura poesia quella del giornalista, critico gastronomico e autore Luca Iaccarino: “Non ho dubbi. Estate di qualche anno fa. Nelle Marche, nel Conero, a Portonovo: il vecchio Clandestino di Moreno Cedroni, prima che la mareggiata lo portasse via. La spiaggetta. Gli alberi. Il chiosco a un passo dall'acqua. Prima un bagno. Poi tutti a tavola sulla sabbia, con il sole che tramonta e il cielo che si trapunta di stelle. Il menu? Ispirato alle favole, tante piccole meraviglie di pesce. Chiacchiere. Amici. Verdicchio. Moreno che ti racconta Pollicino. E tu che non vorresti andare via mai”.
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Da parte sua anche Moreno Cedroni, raggiunto al telefono mentre mangia una pesca, non ha dubbi e dice subito: “Non ci devo pensare neanche un attimo. 1997: cena da El Bulli, il gelato al parmigiano di Adrià. Mi sembra di cadere dalla sedia, e sono come un bambino piccolo al parco giochi”. Meraviglia per occhi e palato.
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Per Lorenzo Cogo, chef e patron de El Coq di Marano Vicentino, la cena memorabile è stata nel 2008, quando stava viaggiando per il mondo tra una cucina top e l’altra (da Vue de Monde di Melborne al Fat Duck vicino Londra), e quando, alla fine di uno stage di sei mesi a Tokyo al Ryugin di Seiji Yamamoto, si è concesso una cena da solo: “Essere da solo, dopo mesi di lungo lavoro, a gustare le pietanze che io stesso avevo contribuito a creare, è stata una grande emozione. Seiji e la sua cucina sono un modo diverso di interpretare la gastronomia, specialmente la tecnica kaiseki, che assembla tanti piccoli piatti. Piccole porzioni, grande tecnica e rispetto quasi sacrale della materia prima. Una cena davvero speciale, un unicum nella mia vita professionale e non solo”.
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La cena indimenticabile è giapponese anche per Chef Rubio, al ristorante Isshin di Asakusa: “Ricordo ancora il menu: pelle di aguglia in yakitori, nigiri con ventresca di tonno, sgombro, polpo e mazzancolle, sashimi di anadara granosa, aguglia e ricciola, zuppa fredda di vongole e perilla. Impossibile esprimere le emozioni scatenate da quei profumi, però di sicuro è stato un pasto epifanico: lì ho capito l'essenzialità esemplificata della cucina giapponese e la sua perfezione!”
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Ricordo-madeleine per Gennaro Esposito: “Diverse sono state le tavole importanti di amici, colleghi, chef alle quali ho avuto il piacere di sedere e che hanno segnato significativamente la mia vita gastronomica: nominarne una su tutte sarebbe come fare un torto agli altri e non sarebbe giusto. Vorrei però fare la mia segnalazione nella categoria case di amici e in particolare a quella del mio caro amico Massimo Merano e di sua mamma organizzata una sera di fine estate quasi per caso. La ricordo come se fosse stata ieri, forse perché passare una serata così rilassa talmente da predisporci al meglio ad apprezzare sapori ed odori. Restano soprattutto indelebili nella mia mente le lasagnette al pesto rigorosamente fatte in casa, l'indimenticabile cappon magro e la focaccia di Fabrizio, un amico comune, che mi hanno emozionato fino a riportarmi con la mente a quando ero bambino”.
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Ad Anna Morelli, direttore del magazine Cook_Inc., risulta molto difficile pensare a una sola cena della mia vita “perché sono convinta che ogni cibo abbia il suo tempo e che il nostro palato e i nostri gusti cambino e si evolvano nel tempo. L’esperienza più recente e memorabile l’ho vissuta a The Hand & Flowers, a Marlow, un villaggio della campagna inglese vicino a Oxford. Un pub che ti accoglie e ti fa sentire subito a tuo agio; un menu contemporaneo senza fronzoli, un servizio carino ed elegante ma per niente pomposo né asfissiante. La cucina di The Hand & Flowers è quella inglese che lo chef Tom Kerridge prepara con grandissima tecnica e molta voglia di far godere sapori autentici di campagna e tradizione. L’aria che si respira è quella di una realtà ritrovata e vissuta pienamente, con orgoglio. Dall’Agnello con animelle e salsa verde, alla Crema di levistico, mela, anguilla affumicata e Tortelli ripieni di prosciutto e formaggio, una goduria di profumi e sapori che rincuora, specialmente se in una tipica giornata piovosa invernale. O il Petto d’anatra, cotto lentamente, con cavolo di Savoia, accompagnato da patate fritte alla vecchia maniera, saltate nel grasso d’anatra e accompagnato da gravy, che più British di così non si può e sicuramente indimenticabile. Tutto a The Hand & Flowers ci riporta alla terra, alla natura, all’orto che Tom e il suo staff fanno crescere ogni anno per assicurarsi una stagione di prodotti locali e salutari. Ecco, questa è stata una delle ultime cene indimenticabili della mia vita".
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Il ricordo del maestro Gualtiero Marchesi è tratto da La Memoria Del Gusto di Laura Bolgeri (ed. Cinquesensi): “Mi ricordo una cena a Bangkok, in cima a un grattacielo. Era una cena con altri cuochi europei e, quando siamo usciti sulla terrazza a strapiombo sulla città, un cuoco francese mi si è avvicinato, dicendomi: Ehi, Marchesi, vuoi mettere un piatto di spaghetti? Detto, fatto: abbiamo acciuffato per un braccio un altro cuoco, un tedesco che stava andando via, servendo un piatto fuori programma di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Un piatto conviviale, universale e senza orari, un piatto italiano”.
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Per Mauro Coruzzi – in arte Platinette – l’esperienza culinaria della vita è italiana e pop, e ha innegabilmente i sapori di casa (dato che Coruzzi è di Parma): “Ogni anno a Sissa, nella bassa parmense, fanno la maialata, una marcia dove la gente corre e a ogni pit stop si ristora, anziché con acqua e integratori, con culatello e strolghino. Questo rito si conclude con una cena in cui si mangia carne di maiale dall’antipasto al dolce (a base di sangue di maiale)”.
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Rimaniamo nel Parmense: interpellato sul tema Enzo Vizzari, direttore della Guida de L’Espresso, ha mandato questo pezzo, (ci siamo permessi di abbreviarlo un po’), tratto da I Cantarelli - Storia e mito della cucina italiana (Gazzetta di Parma, 2013): una meravigliosa descrizione vintage, che al tempo stesso anticipa quali sarebbero state le sue scelte e passioni professionali: “Era il 1964, il giorno del mio diciottesimo compleanno. Anche per la promozione scolastica, meritavo un regalo importante: chiesi e ottenni che i miei genitori mi portassero a Samboseto, alla Trattoria Cantarelli. Non si stupirono molto, ché già m’ero fatto portare alla Santa di Nino Bergese, ai Dodici Apostoli… Ma il mito restava Cantarelli. Tanto avevo letto e sentito della Trattoria che, quando vi arrivai, mi parve d’entrare in un luogo già visto: la piccola bottega, saponette e strolghini, culatelli e candele, pane, dentifrici, formaggi…; il saluto cordiale e garbato di quel signore coi capelli un po’ grigi tagliati a spazzola; la saletta con una dozzina di tavoli, tovaglie candide, stoviglie brillanti; nell’aria un indistinto sentore di buono (…). Neppure vagamente avevo immaginato l’intensità dei profumi, la profondità dei sapori, l’armonia degli accostamenti che avrei poi trovato. Sorseggiavo il fresco frizzantino della casa, annusavo e con le dita portavo alla bocca le prime fette di culatello,(…), e ascoltavo compunto il signor Peppino elencare i piatti che la signora Mirella quel giorno aveva preparato. Li ricordo perché li provai tutti, imponendo a papà e mamma di fare scelte diverse dalle mie per moltiplicare gli assaggi (..), i tortelli di erbette più soavi del creato (..) il sontuoso soufflé di lingua; la faraona alla crema; il semifreddo allo zabaione; la torta di mandorle. Tenni per le innumerevoli visite successive l’anatra all’arancia, la padellata di maiale, il tortino di riso con ragù e piselli, il croccante… Con vini adeguati ma semplici, consigliati con la bonomia e la saggezza del gentiluomo di campagna”.
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Massimo Giovannini dell'Apogeo di Pietrasanta (3 spicchi sulla guida Gambero Rosso) ci racconta: “La mia cena della vita è stata al ristorante Da Caino a Montemerano: ricordo il sapore del petto di piccione ripieno di foie gras. A cena da Valeria Piccini ho capito per la prima volta che c’era un altro modo di lavorare, di pensare le materie prime".
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Due, la prima e l’ultima, sono le cene della vita per Luigi Cremona, Direttore e Curatore delle guide Touring: “La prima tanti anni fa (circa 45!), giovane ingegnere appena laureato andai a Cambridge per lavoro e mi portarono una sera in un antico pub, The Black Bull a Balsham. Fui conquistato dall'autentica cornice, dall'accoglienza, da una carta dei vini pesante come un libro, dall'aperitivo servito accanto al caminetto e dal bicchierino di un old vintage porto in chiusura. Alla vituperata (per il cibo) Inghilterra, devo la nascita della mia attrazione per la ristorazione di qualità. L'ultima è quella di ieri (mercoledì 2 settembre, ndr), al Refettorio Ambrosiano con i fratelli Ferran ed Albert Adrià in cucina e Massimo Bottura a servire (con il sottoscritto) un centinaio di ragazzi della periferia milanese. Con momenti di autentica gioia ed emotività".
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Giapponese? Thailandese? Australiana? Italiana? Chissà: Carlo Cracco e sua moglie Rosa Fanti sono ancora alla ricerca della cena indimenticabile: “Una cena della vita non l'abbiamo, o meglio non ancora...Vale la risposta che questa cena deve ancora venire? Dobbiamo ancora girare, viaggiare, vivere tanto per poter fare un bilancio sulla migliore esperienza culinaria, quella che ricorderemo per sempre”, dice Rosa.
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