Esperienze dirette: I miei 6 mesi a Expo Milano
Si conclude dopo 6 intesi mesi l’avventura di Expo Milano 2015: vi raccontiamo la nostra esperienza diretta, dal cibo alle persone, a ciò che ci è rimasto.
Premessa: chi scrive qui è una persona critica ma che ha sempre un atteggiamento positivo, che ha vissuto Expo Milano da dentro ma non abbastanza da abituarsi ai volti, agli spazi e agli eventi. expo milano 2015 è finito: cosa rimane di questi 6 mesi? Il mio lavoro è stato quello di osservare e trovare qualcosa da raccontare sull’Esposizione Internazionale; così ho iniziato la mia visita il primo maggio e l’ho conclusa il 31 ottobre. In mezzo c’è stata l’emozione, il dubbio, la presa di coscienza. A volte anche la delusione, ma soprattutto la costante impressione che quasi nessuno sarebbe andato via da questo grande posto senza interrogarsi su quale sarà il futuro del cibo. Expo Milano 2015 ha smosso l’Italia e ha fatto vibrare il mondo. Quando si parla di cibo con così tanta grandezza, è difficile non attirare l’attenzione di molti. E così, lentamente, si è dovuto aspettare agosto per vedere accogliere la grande folla di persone desiderosa di vedere, sapere e soprattutto assaggiare.
Mi ci sono voluti 9 ingressi (sì, 9 giorni interi) per vedere tutto quello che c’era da vedere. A giugno avevo già una mia idea ma non sapevo che il bello doveva ancora arrivare. Sì, perché ogni Paese ha avuto bisogno di tempo per scaldare i motori e rendere l’esperienza della visita più calda e, solo con l’inizio dell’estate, tutto è entrato a pieno regime. Qualcuno doveva ancora finire di sistemare il proprio spazio ma nulla che facesse pensare al disservizio. Detto questo, è meglio raccontare il mio Expo Milano 2015.
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Il tema - Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. Non è facile parlare di fame e di cibo per il futuro mentre accanto hai una fila interminabile per una porzione di patatine fritte. Eppure questo è stato Expo: tutto il cibo in ogni sua veste, dall’idea di questo alla sua presenza (o assenza) a tavola. Nulla può escludere l’altro e tutti hanno ragione d’essere. Già prima di iniziare volavano pensanti critiche contro le grandi aziende che - si diceva - non erano interessate a Nutrire il Pianeta ma solo a fare business. Eppure Expo non poteva negare loro la possibilità di esserci. Chi si è trovato qui ha fatto continue scelte: andare al padiglione super tecnologico o andare a quello ricco di contenuti? Andare al fast food o assaggiare un piatto di riso e pollo del Nepal? Siamo chiamati a fare delle scelte e l’Esposizione Internazionale ha racchiuso quello che c'è oggi nel mondo, mettendoci davanti la realtà dei fatti. I temi di Expo sono stati curati e sono stati al centro dell'organizzazione. Ma fa più notizia uno strano burger o una coda di ore rispetto a un dibattito sull'alimentazione sostenibile.
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Padiglioni. Circa 130 Paesi presenti con un proprio spazio, più i padiglioni delle istituzioni e di alcune aziende. Tirare una somma unica è impossibile ma di certo posso dire che non tutti hanno saputo interpretare il tema centrale di Expo. Alcuni, troppo impegnati a promuovere il proprio Paese, hanno dimenticato che qui si cercava la soluzione per la nutrizione del futuro. Alcuni padiglioni erano bellissimi nell’architettura, altri semplici ma potenti comunicatori. Non credo si possa individuare il padiglione più bello in assoluto e non credo si possa fare una classifica, ma tra tutte le strutture ricorderò Expo pensando al Padiglione Israele. Qui anche le persone più semplici hanno capito l’importanza e il valore delle ricerca nell’agricoltura o quanto, nel nostro piccolo, siamo tutti chiamati a fare tutto il possibile nei confronti dell’alimentazione mondiale. Il tutto in uno spazio equilibrato, fatto esternamente di un orto verticale e un punto bar con degli ottimi falafel. Insomma, qui c’era tutto quello che mi aspettavo da questo Expo.
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E l’Italia? Ha fatto moltissimo per il buon funzionamento di Expo e la gestione del sito espositivo è stata eccellente. Gli stranieri non si sentivano in Italia per quanto tutto fosse funzionante (così hanno detto alcuni) e gli italiani si sentivano nel Paese che stanno aspettando. Palazzo Italia l’ho visitato subito, il primo maggio. Volevo sapere se avrei potuto camminare a testa alta ed essere un italiano orgoglioso ma sono rimasto un po’ perplesso; una grande opera che sembra però essere stata progettata non tanto per fare parte di Expo, quanto più per rimanere dopo. Molti gli spazi inutilizzati all’interno e il tema del cibo non è stato quello principale, bensì si parlava di Italia e di italiani, con limiti superati e da superare. Bella ma non abbastanza la sala degli specchi che mostrava magnifici paesaggi e architetture tipiche. Entrare in questo palazzo dava però l’opportunità di poter firmare l’eredità mondiale di Expo 2015: la Carta di Milano, il documento che impegna i Paesi alla lotta contro la malnutrizione.
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Il cibo. Il giro gastronomico del mondo in 6 mesi. Non sono riuscito ad assaggiare tutto, ovviamente. Il mio stomaco non era abbastanza forte e le mie tasche non abbastanza ricche ma a Expo c’erano moltissimi piatti che valeva la pena provare e solo in rari casi ho trovato ingiustificati i prezzi. C’erano i ristoranti ufficiali dei padiglioni e poi una serie interminabile di container, food truck, spazi, e angoli dove trovavi cibo di qualsiasi genere. Dal riso fritto su stecco del Cluster Riso, al gelato allo zafferano del bellissimo padiglione del sultanato del Barhain. Ma anche il burger giapponese con manzo, il risotto di Davide Oldani in strada e i pancakes dei Paesi Bassi. E ancora le pizze (buonissime) di Berberè, il burger di bufalo (economico e buono) al food truck dietro il padiglione Qatar o lo spiedo di agnello in Kazakistan. Mi state odiando, vero? Potrei continuare all’infinito menzionando anche la raclette svizzera, i dolcetti di bosco dell’Austria, il pulpo e i tacos del Messico, il Lobster Roll americano (che non era poi buonissimo) e anche i tagliolini limone, parmigiano e menta preparati dai ragazzi della scuola di Niko Romito per la regione Abruzzo nello spazio Eataly. Non riesco a pensare a quale piatto abbia preferito tra tutti, so solo che è stato fantastico provarne così tanti. Anche il bretzel al Padiglione Germania mi ha lasciato un bel ricordo. Di certo potrei dire che ho trovato sopravvalutati il burger di coccodrillo e le fries del Belgio. Con così tanta scelta, ho visto persone andare in tilt e non riuscire a decidere cosa mangiare, con il rischio di tornare a casa a stomaco vuoto: assurdo.
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Il Decumano. Maestoso, a parte il cibo finto di Dante Ferretti. C’è stata poi la questione che, nei giorni di pioggia, l’acqua entrava da tutti i lati e ci si bagnava molto. Ma vedere il viavai di gente in quel km e mezzo era uno spettacolo. Specialmente con le luci dei padiglioni in notturna.
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Cluster: un'occasione persa. Dovevano essere un pezzo forte di questo Expo: i Cluster, ovvero un insieme di Paesi e località riunite sotto un macro tema. Cereali e tuberi, riso, cioccolato, caffè, terre aride, isole e mare, bio mediterraneo. Quest’ultimo è stato l’unico coordinato da una regione italiana, la Sicilia. Già il primo maggio aveva sollevato discussioni circa l’inadeguatezza dello spazio che ospitava il cluster. 6 mesi dopo, a malincuore, mi viene da dire che la regione ha fatto bene a portare cannoli, focacce e vini; a raccontare con vari incontri la sua terra ma, tutte le volte che ci passavo, sembrava di essere a una sagra di villaggio, e la Sicilia non può essere solo questo. Avrebbe dovuto rinnovare il proprio modo di raccontarsi. Più in generale, i Cluster sono stati forse un’occasione persa. Ci sono stati tanti momenti organizzati ma nulla che potesse catturare l’attenzione del visitatore lungo i 6 mesi se non (in alcuni casi, non tutti) le belle architetture.
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Gli eventi. Non tutti hanno avuto modo di godersi un National Day - la festa dedicata a ciascun Paese o organizzazione presente in Expo. I National Day erano momenti di musica, di festa, ma anche attimi istituzionali per fare il punto sulla propria situazione nel campo dell’agricoltura e dell’alimentazione. In 6 mesi si sono susseguiti concerti, feste e toccati primati da record. Tutte cose che possono sembrare banali, divertenti o importanti. Io so solo che la vista di un corteo messicano con abiti tipici e le massime cariche dello Stato mi ha divertito da matti.
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Il più fotografato: l'Albero della vita. Accanto al padiglione italiano, il simbolo di questo evento mondiale e, come qualcuno lo ha definito, il simbolo della rivincita e della ripresa italiana nel mondo. Rido e penso a quando lo vidi la prima volta, mi sembrava la cosa più brutta che si potesse fare con il legno, ma ho aspettato la sera per dare un giudizio. Lo spettacolo notturno è bello, ha un significato. La vera emozione non l’ho provata guardando l'albero ma scorgendola nel volto delle persone. Ho capito che il bello non è uguale per tutti ma è ovunque, bisogna solo trovarlo. Valeva la pena essere a Expo anche solo per concedersi 15 minuti di acqua, luci, musica e fuoco attorniati da migliaia di persone che si stupivano, anche loro a ritmo di musica.
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Le persone. Mi riferisco agli addetti ai lavori e ai visitatori. Non pensavo ci potesse essere un lato umano dietro un evento così immenso, eppure l’ho vissuto. Dentro e fuori i padiglioni, gli addetti, portavano al collo i loro pass con fare orgoglioso. Li ho sempre trovati pronti ad aiutare e dare informazioni utili. Fieri di poter fare il possibile per rendere ogni giornata perfetta. Ma niente e nessuno mi ha sorpreso quanto i visitatori: non ho visto mai nessuno lamentarsi delle code o di piccoli disagi. Tutti erano assetati di sapere e di conoscere il mondo. Ogni volta che mi sono fermato a chiacchierare con qualcuno, approfondire la conoscenza o anche solo indicare un padiglione, ne è venuto fuori uno scambio amichevole che ha fatto di Expo un luogo dove tutti eravamo lì per condividere la stessa cosa. Attenzione: non vuol dire che nessuno ha avuto da ridire. Molti non hanno apprezzato lo stile, il mood di Expo. Ma quando un evento è creato per essere di tutti, significa che ci si apre a tutti ma non si può mai incontrare il piacere di chiunque.
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Quello che resta. Potrei stare ore a parlare di Expo, delle cose positive e e di quelle negative, poiché di queste ultime ce ne sono sicuramente molte ma non rientrano nel mio campo: io mi occupo di cibo e life-style. Tanti mi hanno chiesto cosa sarà delle strutture, io mi chiedo cosa sarà delle parole usate in questi 6 mesi. Ho vissuto un lungo evento che mi ha messo in connessione con il mondo intero, che mi ha fatto scambiare sorrisi con un tedesco e con un emiratino, che mi ha fatto passare un'ora a bere caffè come se mi trovassi in Turchia e che mi ha fatto capire che il cibo è una cosa che appartiene a tutti, ma che ciascuno di noi deve scegliere come farlo vivere nella propria vita e in quella degli altri. Rimane la certezza che per la prima volta il mondo intero, in ogni suo grado e livello di potere, si è confrontato con questo tema difficile. Ma rimane anche il piacere di aver conosciuto usi e costumi di popolazioni che conoscevamo appena. Non si resta indifferenti davanti a tutto questo e, se così fosse, il problema non è di una fiera, di questo o quel Governo ma della propria mancanza di voglia nel prendere un impegno serio. Ciao Expo 2015, tu hai fatto la storia, adesso a noi deve rimanere il futuro.
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- Expo 2015_Daniele Mascolo