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Enrico Cappuccini Chambertin: storie di pizza e sushi

di Luciana Squadrilli • Pubblicato 24 Agosto 2016 Aggiornato 19 Aprile 2019 12:36

Enrico Cappuccini, Chambertin sui social network, è un giovane appassionato di sushi e pizza che sta ottenendo successi sorprendenti.

Pensate che non sia possibile mangiare una (buona) pizza in un locale dove non c’è un forno adatto – a legna, a gas o elettrico che sia – e che il pizzaiolo debba essere napoletano da almeno 5 generazioni? E che per fare un buon sushi ci voglia un itamae (sushi man) giapponese? Beh, aspettate a conoscere – e ad assaggiare quello che prepara – Enrico Cappuccini aka Chambertin e potreste ricredervi.

Enrico Chambertin
Enrico Chambertin

33 anni, romano, Enrico era un consulente informatico. Da giovanissimo aveva pure lavorato in qualche cucina prima di essere folgorato sulla via di Borgogna e decidere di approfondire la conoscenza del vino; non intendiamo un corsetto amatoriale e qualche bevuta tra amici, ma un diploma da Master Sommelier, tanti corsi di specializzazione e una propensione all’accumulazione seriale di bottiglie – francesi, soprattutto – fino a diventare un vero collezionista per poi decidere di farne il suo lavoro come agente di commercio. Da quel momento, questo stesso approccio senza compromessi Enrico l’ha applicato anche ad altre sue passioni: il sushi e la pizza. Noi li abbiamo assaggiati in occasione di due serate estive organizzate al chiosco di Remigio alla Baia, a Fregene. Sono già in programma altre date a settembre, con la pizza sempre a Fregene e con il sushi a Roma.

Il sushi

sushi chambertin (1)

La passione di Enrico per il sushi nasce da un insieme di coincidenze. Prima l’assaggio casuale di quello, fenomenale, preparato da un cuoco giapponese proveniente dalle cucine londinesi di Nobu che per una serie di eventi si era trovato a lavorare a Giulianova, sulla costa abruzzese. “Non avevo mai visto e assaggiato niente del genere – racconta Enrico – il salmone tagliato come se fosse una saponetta, perfettamente tondo, una cura maniacale dei dettagli e soprattutto un sushi originale, dove oltre al pesce c’erano altri ingredienti come il farro o i funghi. Lì ho capito che si poteva fare qualcosa di diverso dal solito e mi sono detto: devo capire come si fa questa cosa, così mi ci sono messo seriamente“. Secondo grazie a un suo amico, Andrea La Padula, chirurgo di professione – dunque, con una buona manualità – e grande appassionato di cucina sia pure un bravissimo sushi man.

ostriche

Con lui, Enrico si mette a studiare dalle basi: la scelta del pesce, la spesa al mercato, i tagli, la composizione.  “Andrea è bravissimo, fa dei tagli perfetti e conosce benissimo la materia prima. Su suo consiglio fotografo tutto il sushi che preparo, un po’ come archivio visivo e un po’ per confrontarmi con lui; mi dice che sono diventato bravo, ma mai come lui”. Non sappiamo come sia il sushi di Andrea, ma quello di Enrico è squisito. Non pensate al sushi classico, appunto: lui si diverte a sperimentare con i pesci nostrani, con i crostacei come i gamberi blu perché “hanno una croccantezza molto interessante”, o con le ostriche.

sushi chambertin (3)

Gioca con diverse lavorazioni del pesce, come con lo sgombro marinato prima sotto sale, poi con salsa di soia e mirin; gioca i con ingredienti mediterranei a cominciare dalla bottarga, con cui fa un maki con olio al basilico e maionese allo yogurt. E sperimenta abbinamenti originali, come nel caso della ricciola con sake, salsa di soia e crumble di piselli al wasabi. “Il mio sushi è molto personale – spiega – non essendo giapponese mi diverto a fare qualcosa di diverso prendendo spunto dalla cucina fusion, con qualche contaminazione italiana. Ma soprattutto mi piace lavorare pesci diversi; qui abbiamo tantissimi tipi che in Giappone non si usano molto, come il sampietro o la ricciola, ma alla fine i ristoranti giapponesi in Italia usano quasi sempre le stesse cose: tonno, salmone, gamberi rossi. Solo negli ultimi tempi, con posti come Zuma o Temakino, si è iniziato a vedere qualcosa di diverso”.

pesce mercato

E con i fornitori e la sicurezza alimentare, come la mettiamo? “Lavoro anche per un’azienda che vende prodotti di eccellenza, dal baccalà islandese al salmone selvaggio, quindi non ho difficoltà a reperirli. Per quanto riguarda il pesce fresco, che viene comunque sempre abbattuto, mi rivolgo ai tanti amici ristoratori che hanno fornitori di fiducia. Per il resto sono molto scrupoloso: a Fregene avevo fatto tre sopralluoghi preventivi e avevo scelto tutte lavorazioni cotte o marinate per evitare problemi con le temperature in spiaggia”.

La pizza

Carmine Piano
Carmine Piano

La pizza di Enrico, la genesi della sua passione, ha una storia non troppo diversa: “una follia” come la chiama lui, nata dall’incontro con Giancarlo Casa  – che gli ha dato le basi tecniche e con cui fa frequenti viaggi d’istruzione –  da quello con Carmine Piano, oggi il suo socio nel progetto Pizze Vaganti con cui organizzano serate estemporanee in giro per la città (Roma, ma non solo), e dall’assaggio della pizza “forse la margherita più buona mai mangiata” fatta in casa da un amico magistrato, in un semplice fornetto elettrico.

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Lì scatta la stessa molla del sushi, e questa volta Enrico sceglie appunto Giancarlo come maestro; oltre a convincerlo a fargli fare prove di impasto e stesura nella sua pizzeria capitolina, La Gatta Mangiona, lo accompagna anche all’incontro annuale della Confraternita della Pizza, ritrovo di pizza-maniaci professionisti e non di tutta Italia. Qui, oltre a riscuotere un gran successo con la pizza con impasto multi-cereali e topping a base di carpaccio di polpo, fiordilatte, salsa di acciughe, olio e limone con prezzemolo e pepe rosa, Enrico incontra Carmine, ingegnere di origini beneventane. Complice un passaggio in macchina fino a Roma, sulla via del ritorno nasce l’idea di Pizze Vaganti.

Pizze vaganti

Due le variabili principali su cui lavorare: l’impasto e il forno. Nel primo caso, si tratta di un work in progress costante, o meglio di una base ottenuta dopo numerose prove ma che resta flessibile per esigenze di forza maggiore: non avendo una sede fissa le diverse condizioni che possono incidere sul risultato finale sono tantissime e bisogna sapersi adattare. In linea di massima, comunque, i due lavorano con un mix di farina bianca e integrale (anzi, più farine da grani autoctoni siciliani) e lievito di birra (più costante), con lunghe maturazioni – circa 48 ore – a temperatura controllata (stanno pure mettendo su una cella di maturazione a 16 gradi).

pizze vaganti2

Per quanto riguarda il forno, invece, siamo nel campo di Carmine: è lui il fornaio. Grazie alle sue conoscenze tecniche ha modificato il fornetto di base cambiando resistenze e platea (ora è in biscotto di Casapulla, un materiale refrattario) e facendo in modo non solo di raggiungere una temperatura da forno a legna (550°) ma anche di bloccarla evitando dispersioni di calore o pizze bruciate. Il risultato sono ottime pizze che faremmo rientrare nella tipologia né napoletana né romana, con un tocco personale: impasto saporito, morbido e scioglievole ma piacevolmente croccante al tempo stesso. “Volevo differenziarmi, non sono napoletano ma non amo molto la romana; quindi ho cercato una via intermedia”.

pizze vaganti4

Ben affiatati anche se diversi: Enrico, più estroverso, ricerca su materie prime e condimenti e organizza le serate mentre Carmine, più riflessivo, segue la parte tecnica e continua a lavorare su forni e temperature.  Sono entrambi ugualmente maniaci della pizza. “Abbiamo preso non so quanti chili a furia di prove e assaggi – racconta Enrico – Io amo alla follia la pizza, ne sono affascinato e credo di esserne il mangiatore numero uno. Non mi sento invece di dire che sono un pizzaiolo. Più che altro un pazzo che si è messo a fare questa cosa con un po’ di incoscienza e poi qualcuno gli ha detto che non era male”. Per niente.

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