Ricette e brevetti: diritto o limite alla creatività?
Il diritto d’autore in cucina è da anni al centro di accese discussioni: è possibile brevettare una ricetta o si rischia di ostacolare la creatività?
Non solo gli chef inventano ricette. Chiunque sia appassionato e dotato di creatività può scoprire piatti nuovi e sperimentare accostamenti eccentrici.da anni il diritto d'autore in cucina è al centro di accese discussioni Ma c’è un dubbio che da tempo alimenta accese discussioni: è possibile far valere il diritto d’autore anche in cucina? La spinosa questione, che negli anni ha chiamato in causa giuristi e grandi cuochi, viene affrontata anche nel libro Food Law: la tutela della creatività in cucina, Edizioni PLAN. Gli autori Carmine Coviello e Davide Mondin, entrambi avvocati e docenti Alma, famosa scuola di cucina, hanno messo nero su bianco le loro ricerche, durate ben tre anni, con l’obiettivo di fare chiarezza.

Su una cosa non si discute: le ricette sono opere creative a tutti gli effetti, e, in quanto tali, la volontà di proteggerle da imitazioni è più che leggittima. “Per prima cosa – chiarisce Carmine Coviello – bisogna trovare gli elementi che facciano di un piatto un’opera creativa”. Occorre cioè che l’autore fornisca il proprio apporto personale, in modo da rendere l’opera gastronomica diversa da quelle già esistenti. Può trattarsi di ingredienti mai considerati o, se già noti, associati in modo inedito; di una struttura fisica sconosciuta o dell’aspetto inusuale del piatto. Anche un nome mai utilizzato prima può fare la differenza: se i requisiti ci sono, è possibile procedere con la tutela legale. Quest’ultima riguarda innanzitutto la ricetta in sé, ovvero la spiegazione relativa al procedimento. “L’arte culinaria – sottolinea ancora Coviello – è forse la più completa tra le arti, perché coinvolge i cinque sensi: gusto, olfatto, vista, tatto e anche udito”. Altra forma di tutela è il brevetto, che riguarda i prodotti riproducibili industrialmente: le Marille di Giorgetto Giugiaro per Voiello, ad esempio, sono state depositate nel 1983.

C’è poi il problema estetico del piatto, inteso come opera di design. In questo caso non è tanto la ricetta a contare, quanto la composizione finale. Ma non si rischia di ostacolare la libera circolazione della creatività? Verrebbe da pensarlo. “Sicuramente – spiega Davide Mondin– c’è una tradizione gastronomica che è e deve rimanere patrimonio della collettività. Accanto a questa, però, esistono prodotti ascrivibili al genio di singoli operatori”. Difendere l’originalità, in altre parole, non significa contrastare la creatività bensì stimolarla. E voi, siete favorevoli o contrari al diritto d’autore tra i fornelli?
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