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Il lato umano dei grandi brand: Franco Boeri Roi

di Luciana Squadrilli 1 Febbraio 2017 09:26

Abbiamo incontrato Franco Boeri Roi dell’azienda ligure Olio Roi per farci raccontare la sua storia, dagli inizi fino ai progetti futuri.

In principio, nel 1900, erano pochi alberi di olivo (pochi relativamente, da queste parti gli appezzamenti sono piccoli e scoscesi), tutti di varietà Taggiasca, e un frantoio comunale preso in affitto in cui si molivano le olive di proprietà e conto terzi, vendendo l’olio sfuso. Oggi l’azienda di Franco Boeri a Badalucco, sulle colline della Valle Argentina alle spalle di Sanremo, è una delle più note della Liguria e le bottiglie etichettate Roi sono vendute in ogni angolo del mondo. roi è il soprannome della mia famiglia, perché a badalucco i boeri sono tanti, c'è l'abitudine di distinguere i vari rami con i soprannomiRoi è il soprannome della mia famiglia, risale al 1600. A Badalucco i Boeri sono tantissimi, quindi c’è l’abitudine di distinguere i vari rami con i soprannomi. Un mio zio prete diceva che Roi venisse dalla ruota che faceva girare il frantoio ma in realtà risale a prima che diventassimo frantoiani; probabilmente viene dal francese roi, re, e sta a indicare una famiglia numerosa, quindi forte”, spiega Franco. E oggi, a vedere i risultati raggiunti, verrebbe facile soprannominarlo il re dell’olio ligure. Franco, però, resta vicino alle sue origini contadine e soprattutto alla sua terra: “Sono nato in un piccolo paese, dopo la terza media ho lasciato la scuola per lavorare con mio padre. Ma ho avuto la fortuna che lui mi abbia lasciato fare oltre a quella di avere accanto mia moglie Rossella, una donna eccezionale che mi ha sempre dato stimoli a fare meglio, per l’azienda e per il territorio. I miei due figli, Paolo e Daria, hanno studiato e avrebbero avuto l’opportunità di fare quello che volevano ma hanno scelto di restare qui e di lavorare con noi: lui si occupa soprattutto dei rapporti con l’estero, lei aiuta Rossella nell’agriturismo che abbiamo aperto da qualche anno, l’Adagio, che è anche sede didattica dell’Università di Pollenzo”.

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Cosa c’è, oltre a una famiglia unita e laboriosa, dietro al successo di Roi? Tanta caparbietà, intuizione e anche un certo gusto per le sfide. A sentirla raccontare da Franco, con la voce profonda ma dal tono spesso scanzonato che sembra unire la saggezza di un anziano e la vivacità di un ragazzo senza essere nessuno dei due, la sua storia sembra quasi un racconto d’avventure: “Alla fine degli anni ’80 i frantoiani della zona, come noi, facevano un gran lavoro guadagnando ben poco – racconta – L’olio in surplus dai bisogni delle famiglie veniva portato a Imperia, al bar Vittorio: qui gli assaggiatori delle grandi aziende della costa sceglievano le partite da comprare per l’imbottigliamento e con una lunga trattativa stabilivano il prezzo, al ribasso: sapevano che i frantoiani erano carichi di debiti e ne approfittavano”. Così Franco propone al padre di cambiare strada, investendo un po’ di soldi per iniziare a imbottigliare in proprio; il patto è: “se va bene si continua, se no si torna indietro”.

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A dargli man forte i suoi amici hippie, a quel tempo numerosi sulla costa ligure. “D’estate andavo spesso da quelle parti, da Ventimiglia a Diano, perché consegnavo grissini per un forno e conoscevo bene i negozi locali. Riempivo le bottiglie a mano, con l’etichetta realizzata da un amico pittore olandese; ma non avevo considerato la concorrenza degli imbottigliatori, mi capitava di fare chilometri solo per vendere 6 bottiglie. Una notte, durante una festa hippie in un bosco, con un amico tedesco ci viene l’idea: la svolta è la partecipazione all'anuga, grande fiera del settore food & beverage di colonia saremmo andati a vendere olio in Germania, a Francoforte. Lì si trovavano solo oli scadenti, avremmo avuto un successone”. Qui il racconto prende un tono quasi epico: gli uffici in un ex bunker occupato, le brochure ciclostilate su cui spiegavano la differenza tra un olio non filtrato e uno raffinato, fondamentale per far capire che quell’olio denso e velato fosse più buono e genuino. La svolta, però, arriva con la partecipazione all’ANUGA, la grande fiera del settore Food & Beverage di Colonia: “Il presidente della Camera di Commercio, propose ad alcuni giovani imprenditori della zona di partecipare pagandoci gli stand, mentre il viaggio era a carico nostro. Ci andammo in sacco a pelo, dormendo in una specie di comune, ma ne valse la pena: lì prendemmo i primi clienti, tra cui un’associazione di 300 negozi di delicatessen in tutto il Paese”.

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Inizia così l’avventura internazionale dell’Olio Roi, le cui vendite all’estero arrivano a toccare il 93% del fatturato. Da allora, Franco ha dimostrato in molte altre occasioni di saper cogliere al volo le buone occasioni. Per esempio, quando ha incontrato Oscar Farinetti, nel 2004. “Un amico comune, Gigi Piumatti di SlowFood, mi chiama e mi dice che vuole presentarmi una persona. Oscar è arrivato con lo schizzo del progetto e con tante idee ma era consapevole di capirne poco, di olio extravergine. Aveva bisogno di una persona di riferimento e voleva che fossi io”. Così Franco diventa il responsabile del settore per Eataly, selezionando prodotti di tutta Italia da mettere sugli scaffali tra quelli che arrivavano realmente dal lavoro dei frantoiani. “Adesso non c’è più bisogno della mia collaborazione costante ma sono sempre pronto a dare consigli e suggerimenti. Per noi, come per tanti piccoli produttori, è stata una grande occasione di visibilità soprattutto all’estero, anche se eravamo già presenti. Penso che sia a tutt’oggi l’unica formula indovinata di presentazione del made in Italy, una vera e propria ambasciata sul territorio”.

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Nel frattempo, l’azienda è decisamente cresciuta: “Mio padre aveva 800 piante d’olivo, noi oggi ne abbiamo circa 10.000 e acquistiamo da oltre 200 agricoltori della zona. Ma siamo cresciuti anche qualitativamente: al frantoio tradizionale a pietra, con le ruote in granito, ne abbiamo affiancato uno moderno e tecnologico, anche se per me è importante che l’olio continui a essere frutto del lavoro dell’uomo e non di una macchina; per questo solitamente faccio un blend di oli prodotti con i due frantoi, per evitare di avere un prodotto standardizzato e dare la mia impronta”. A proposito di lato umano, i Boeri danno molta importanza anche all’accoglienza dei clienti. “Io ho sempre guardato molto all’esempio dei miei amici barolisti come Giorgio Rivetti o Domenico Clerico, che stavano stravolgendo il modo di lavorare in Langa, in vigna e in cantina. Io cercavo di fare come loro, per esempio creando una sala per fare assaggiare gli oli. Certo, nel vino è diverso, al quarto bicchiere è più facile convincere i visitatori ad acquistare qualche bottiglia!

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Sempre guardando agli amici piemontesi, Franco ha applicato al mondo dell’olio extravergine un altro concetto fondamentale del vino: il cru. “Abbiamo gli appezzamenti certificati per la Dop e sappiamo che da alcuni oliveti, con un’esposizione o un terreno particolare, vengono oli migliori o comunque peculiari. Allora perché non fare dei cru anche nell’olio? Nel 2007 facemmo il primo olio da cru certificato, il Gaaci, da 2500 piante che crescono a 500 mslm, sopra Badalucco. In etichetta, oltra alla località, riportiamo anche l’età degli alberi, il tipo di terreno, il giorno di raccolta… Ora tanti mettono cru in etichetta ma deve esserci una tracciabilità vera; in Francia è una parola importantissima, guai a usarla a sproposito”.

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All’ANUGA 2007 il Cru Gaaci è tra le Top Innovations, e Franco prosegue nel suo progetto: “Volevo far vedere che differenza potesse esserci tra oli fatti con la stessa varietà di olive che crescono nella stessa valle ma ad altitudini diverse, così sono nati il Cru Morga, a 250 mslm, e il Riva Gianca che si trova a 70 metri, vicino al mare”. Sono lievi sfumature, naturalmente, ma questi tre oli raccontano bene un territorio particolare, che in breve tempo va dal Monte Saccarello al mare. si è fatto affidare ulivi secolari praticamente abbandonati, li ha curati e ne ha tirato fuori un extravergine eccellente L’ultimo cru nato in casa Roi la dice lunga sul fatto che Franco non si sia stancato delle sfide: si è fatto affidare gli ulivi secolari che crescono nello storico campo da golf di Sanremo – a cui ora si è aggiunto quello di Albenga – praticamente abbandonati a se stessi, e con l’aiuto di una cooperativa locale che impiega persone in difficoltà li ha curati e ne ha tirato fuori un extravergine eccellente, anch’esso certificato dalla Dop Riviera Ligure come pure l’extravergine Roi Carte Noir, il prodotto di punta. Il progetto del golf nasce soprattutto dalla voglia di ridare dignità alle piante e a un territorio che a Franco e Rossella sta molto a cuore. Con lo stesso obiettivo hanno creato il Bistrot dell’Ulivo, giunto alla sua settima edizione: un premio – o meglio come dice Franco “un attestato di stima e simpatia” a coloro che restano o tornano a fare agricoltura in una zona difficile ma bellissima – ma soprattutto un’occasione di incontro e visibilità per tutta la Valle Argentina grazie al richiamo di tanti amici che vengono qui per l’occasione: artisti, vignettisti e illustratori che realizzano ogni anno il manifesto, personaggi dello spettacolo e della musica, che Franco conosce bene in quanto membro del Club Tenco.

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Tra i progetti futuri di Franco Boeri Roi, da portare avanti anche grazie ai figli, c’è l’attenzione sempre maggiore alla qualità, concentrandosi sulla tipicità dell’olio ligure e sui cru e anche sulle olive taggiasche in salamoia, altra parte importante dell’azienda. Ma lui non nasconde anche un’altra aspirazione: “Voglio tornare nei boschi a fare l’hippie!