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Bistrot64 a Roma: quando la cucina romana parla giapponese

di Pamela Panebianco 4 Gennaio 2018 14:01

Bistrot64 a Roma è un ristorante stellato in cui la cucina di Kotaro Noda, chef giapponese, si muove tra identità giapponese e cucina italiana.

Ne vedi tante di stelle, più o meno brillanti, dopo la loro formazione o la loro nascita. Alcune sono fulgide e lucenti, altre più fioche e intermittenti. Molte ne nascono e qualcuna ne muore, nelle città grandi più che in altre zone d’Italia. E a Roma il cielo è molto stellato, 21 i ristoranti dal lucido baluginio. La stella di Bistrot64 (via Guglielmo Calderini, 64) ha iniziato a splendere nel 2017. A più di un anno dalla sua consegna ne abbiamo saggiato la cucina, per testarne la tenuta fisica, la forma, la resistenza. A primo impatto hai l’idea di un locale senza fronzoli: del bistrot ha il carattere leggiadro senza cedere al capriccio, l’arredamento minimale e curato, un ampio bancone di marmo, una atmosfera che invita al chiacchiericcio.

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Ci si rilassa in sala quando ad accogliere è Emanuele Cozzo, proprietario e vero e proprio deus ex machina del ristorante. Un passato come chef resident e un presente fatto di imprenditoria, professionalità e bei sorrisi. Il servizio giovane e gentilissimo è una sua opera, semplicemente la eco della filosofia del ristorante. Emanuele lo dice chiaramente: qui vieni per tornare, per una serata speciale, o per una coccola da ripetere, vista la semplicità dei piatti e i prezzi che sanno essere contenuti. Lo sa bene la clientela giapponese che rende l’impatto con la sala caratteristico ed entusiasta. Sembra quasi di aver lasciato il Flaminio (Via Guglielmo Calderini 64, per essere precisi)al di là della porta ed essere a casa di Kotaro Noda, chef nipponico oramai italianissimo.

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Venendo al menu, 3 i percorsi degustazione: i primi due da 5 portate in cui far decidere allo chef o scegliere da sé la successione dei piatti, costano 40 e 50 euro, il terzo di ben 9 portate è il percorso lungo nella cucina nippo-romana, per cui occorre spendere 90 euro. Con la possibilità di abbinare i vini del territorio (e non) per una esperienza completa. Una cucina tesa, tutt’altro che funambolica e rocambolesca. Giapponese e italiana, pur non perdendo l’identità di entrambe.

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Naturalizzarsi vuol dire diventare un tutt’uno con l’ambiente circostante, vuol dire cogliere la voluttuosità del territorio, la indomabile forza, comprendere la storia millenaria di una terra. Naturalizzarsi vuol dire confondersi senza perdersi. Nascondersi ed emergere. E questa cucina è un esempio di mimetismo, che del Giappone mantiene la compostezza formale e di Roma ha sposato la varietà delle materie prime. Di chef Noda sono noti i trascorsi, la stella all’Enoteca La Torre di Viterbo e due forchette al Magnolia Restaurant, il carattere che qualcuno definirebbe quasi schivo e altri fanno coincidere con la dedizione totale al lavoro. Il menu è la riflessione del suo carattere attraverso uno specchio.

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Gli ingredienti si susseguono prendendo l’uno della potenza dell’altro, cedendo vicendevolmente vigore o leggiadria. Così avviene nell’entrée, che giocano con il concetto di sushi; l’antipasto (il Mont Blanc di ceci e castagne, in foto) porta impresso il sigillo della stagione fredda con una notevole nota gli aglio. L’immancabile Spaghetto di patate burro e alici, con il tocco violento della liquirizia, cede il passo il Risotto al blu, limone e timo (in copertina) in cui il cavolo cappuccio sfida la grassezza del formaggio pur arrivando a un sostanziale pareggio. Il Rombo All Blacks non lascia spazio alla fantasia sa semplicemente di rombo, funghi champignon, maionese al carbone vegetale e pepe nero nei toni cupi del seppia.

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Per concludere il sorbettino a pulire il palato e il dessert Marrone in cui unico protagonista è l’aglio nero, a nulla possono savoiardi, caffè e fave di cacao. Rimane dritto, fino alla fine quasi dimenticando poi di essere un fine pasto. Quasi a dimenticarsi la sacralità tutta italica del tiramisù.