Pizza Romana Day: la parola ai pizzaioli
Il Pizza Romana Day si è concluso, ma rimangono le parole di 3 eminenti pizzaioli che hanno dato il loro parere su questa tipologia di pizza da preservare.
È da poco terminata la prima edizione del Pizza Romana Day, evento a marchio Agrodolce organizzato in collaborazione con Greenstyle e Repubblica Sapori e volto a celebrare la pizza romana. La prima fase dell’evento, svoltasi nel corso della mattinata a Osteria di Birra del Borgo e vissuta principalmente da giornalisti e addetti ai lavori, ha visto 3 noti sostenitori dei 3 stili più amati, Giancarlo Casa (La Gatta Mangiona, Roma), Enzo Coccia (La Notizia, Napoli), Davide Fiorentini (O’ Fiore mio, Faenza) e la nostra Lorenza Fumelli, scontrarsi amabilmente per sostenere idee, considerazioni e valutazioni sulla pizza romana. Moderatrice del match, Eleonora Cozzella, giornalista di Repubblica Sapori.
Lorenza, come nasce l’idea di creare un Pizza Romana Day?
Lorenza Fumelli: “La verità è che stavo litigando su Facebook in difesa della pizza romana. Da quel giorno ho cominciato a ragionare sull’effettiva possibilità di creare il Pizza Romana Day e in 2 anni ho capito che non si trattava solo di un gioco o di qualcosa di sciocco e goliardico, ma di qualcosa a cui dare un peso reale. La scelta dei pizzaioli aderenti all’evento, è ricaduta su coloro che lavorando in maniera eccellente, hanno fatto ritrovare il piacere di mangiare la pizza a tutti i livelli. L’elenco delle pizzerie aderenti voleva essere più ricco, ma trattandosi di una prima edizione, è stato necessario prendere delle misure“.
Quindi parliamo di pizza al piatto. Passo la parola a Giancarlo Casa. Cosa mi sai dire di quest’accusa goliardica, più o meno seria, che la pizza romana non esiste e se esiste si configura non come uno stile vero e proprio ma come un errore?
Giancarlo Casa: “La pizza romana tonda esiste dagli anni ’50. All’inizio era un prodotto sbagliato, lievitato poco, steso al mattarello e indigeribile. Con il tempo si è finalmente passati a lievitazioni e maturazioni più lunghe. Le pizzerie sono rimaste sino agli anni ’80 luoghi popolari, in cui l’obiettivo principale era che il prezzo fosse basso e la materia prima poco costosa, per cui la qualità raramente finiva per essere elevata. Ad oggi c’è modo di dare dignità a qualsiasi tipo di pizza, anche alla romana e mentre il valore della pizza napoletana, ossia quello della scioglievolezza e morbidezza, è difficile da acquisire se non sei nato e cresciuto a Napoli, la croccantezza istintivamente è un qualcosa di più facile da comprendere e per i mercati non legati necessariamente alla pizza napoletana, una pizza romana ben fatta, può essere un prodotto di grande successo commerciale e grande piacere. A Napoli c’è sempre stata la dittatura di un solo tipo di pizza, mentre a Roma storicamente si sono da sempre sovrapposte tradizioni differenti e tipologie di pizze differenti. Sulla pizza romana, ciò che conta realmente è l’effetto finale, ossia che sia fine e croccante e ciò lo si può ottenere in modi diversi: con impasti diretti (ma non a 3 ore, almeno a 8 ore), oppure con impasti indiretti, più simili a quelli della pizza a taglio”.
Passo la parola a Enzo Coccia. Enzo, può esistere qualcosa al di fuori della pizza napoletana?
Enzo Coccia: “Sì. Lorenza ha fatto una cosa bellissima, ha lanciato il sasso in un mare di pizze ed è un’operazione molto importante perché si inizia a ragionare su un prodotto e nel momento in cui si fa questo, si può intravedere quali strade percorrere. C’è ancora molta confusione sulla pizza romana, c’è una vera e propria confusione di identificazione. Il primo problema nasce dal numero elevato di attività commerciali che fanno servizio di pizza offrendo solo bassa qualità, in quanto l’effetto turistico ne ha annientato completamente formazione, conoscenza, qualità e ricerca. Problema inevitabilmente ricaduto sulla pizza romana. Un altro problema è dettato dai media. Non si è comunicato adeguatamente il prodotto. Si è comunicata la figura dell’artigiano, ma non quello che faceva. Infine, altro problema fondamentale è la mancanza di una massa di addetti ai lavori in grado di portare la pizza romana, come è successo invece a Napoli, in qualsiasi porto del mondo o trasmissione. Io proporrei la strada dell’identificazione del prodotto con regole più chiare”.
Davide, tu sei un outsider. Come si percepisce da outsider, ossia da chi si dedica a un altro tipo di pizza ancora, questa sorta di rivalità, questo palleggio tra Roma e Napoli?
Davide Fiorentini: “Da outsider io dico sempre che per me la pizza è un disco di pasta lievitata con un condimento sopra, poi ci sono le varie declinazioni e soprattutto ci sono storie diverse e culture agroalimentari e gastronomiche diverse. Tutti nel nostro piccolo dobbiamo tutelare la pizza a 360°. Poi ognuno con il suo stile, ognuno con la sua peculiarità, ognuno con le sue tecniche. La pizza ora ha avuto un’evoluzione soprattutto per quanto riguarda la materia prima. Abbiamo a disposizione farine che sicuramente anni fa non esistevano, per tipologia, struttura e varietà. Noi siamo la fine di un coronamento produttivo molto importante, prima di noi ci sono stati artigiani che hanno fatto grandi cose. La nostra comunicazione ora deve essere quella di portare in pizzeria, anche se gourmet, anche se di qualità, vecchietti, famiglie e bambini”.
Lorenza, ti faccio una domanda su un punto del Manifesto della nuova pizza romana che mi ha colpito e in cui parli di come deve essere la sala, la pizzeria romana. Cosa intendevi?
Lorenza Fumelli: “La cosa principale e che sappiamo bene noi affezionati delle buone tavole, è che per raccontare un prodotto, è necessario il racconto del prodotto stesso. È necessario che ci sia un luogo in cui incuriosire, sensibilizzare i clienti e in cui ci possa essere quel tempo dedicato a raccontare ciò che si sta facendo e il prodotto che si sta usando. La sala della nuova pizzeria romana per me non è più la sala in cui si cerca di mandar via il cliente il prima possibile, ma è una sala in cui si spiega, si racconta, in cui c’è la possibilità di conoscere nuovi piccoli produttori magari della selezione di ciò che si mette sulla pizza e uno spazio dove sia possibile conoscere anche i produttori di eccellenze. Una sala competente, altrimenti l’informazione non passa. Il Manifesto della nuova pizza romana non vuole chiudere, ma aprire la strada alla ricerca”.