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Rece Rock: Aifur Krog & Bar a Stoccolma

di Alex Giuliani • Pubblicato 7 Marzo 2019 Aggiornato 27 Marzo 2019 14:19

Siamo stati da Aifur Krog & Bar a Stoccolma, un ristorante tradizionale svedese: ecco com’è andata tra corni, posate antiche e tagliate di cervo.

Partiamo da un presupposto fondamentale: la Scandinavia non è il miglior posto dove cercare un buon pasto a buon mercato. Spesso la parte più indimenticabile di una cena è il conto, che ti costringerà a contattare degli strozzini di zona. Tanto vale allora cercare un posto almeno carino, caratteristico o divertente dove farsi spennare. L’Aifur Krog & Bar a Stoccolma è la summa di tutte queste componenti, il classico ristorante per turisti polli come me, ispirato alla tradizione nordica e dove tutto il personale è vestito come i loro antenati vichinghi. E, sia chiaro, li preferisco comunque ai nostri camerieri coi risvoltini e i baffetti da Hercule Poirot.

– A Stoccolma fa 2 gradi sotto zero, ma appena superato l’uscio sembra di entrare nel cuore di un vulcano attivo. Passo quindi i miei primi 35 minuti davanti al guardaroba, a togliermi i dieci strati di maglie termiche che indosso.

– All’ingresso della sala mi accoglie un gigante capellone e barbone che, prima di darmi un tavolo, prova a farmi suonare il corno. Nonostante i miei sforzi, ne esce solo un suono che ricorda una scorreggia strozzata. Il gigante si riprende il corno e, dopo averlo suonato vigorosamente (lui sì), urla il mio nome ai commensali presenti che applaudono e ridono di me. Neanche 2 minuti e la prima figura di merda è servita.

– Scendo le scale e ho già il fiatone. Il maledetto corno vichingo mi ha tolto 10 anni di vita.

– L’illuminazione è esclusivamente a lume di candela. La sala è talmente buia che chiedo al cameriere di portarmi un pastore tedesco. Ma qui in Svezia hanno solo lupi selvatici.

– La sala è talmente buia che il cameriere a cui ho chiesto il pastore tedesco non era il cameriere.

– A tentoni arrivo finalmente al tavolo comune, interamente occupato da altri italiani. Anche loro turisti polli come me.

– Visto il clima rovente della sala, ordino la birra Lava.

– Guardo le posate, fedele riproduzione di quelle antiche: forchetta a due soli rebbi, cucchiaio tondo larghissimo che puoi usare solo se hai la bocca di Mick Jagger e un coltello che non taglia neanche l’aria. Ma ancora non posso neanche lontanamente immaginare quanto sarà complicato usarle.

– Come antipasto prendo il tagliere di affettati tipici, tutti provenienti da teneri e fiabeschi animali come alci, renne, cervi e agnelli. Me li immagino al pascolo libero nei boschi svedesi e mi sento un po’ in colpa. Quindi ordino un secondo tagliere.

– La renna è buonissima. Chissenefrega di Babbo Natale, che vada con un furgone a noleggio.

– Come piatto principale decido di provare l’ottima tagliata di cervo, servito con una frittatona di fantozziana memoria (di patate, cipolle e carote), crema di funghi e l’immancabile mirtillo rosso.

– Qualsiasi piatto deciderai di mangiare in Svezia, troverai sempre quel maledetto mirtillo rosso e desidererai il disboscamento dell’intera penisola Scandinava pur di non dover più mangiare quei dannati frutti di bosco.

– Decido infine di mangiare il salmone affumicato grigliato servito con bulgur e con spinaci al burro. Buonissimo. La particolarità è l’aggiunta essenziale della salsa di Bisanzio. Non so cosa sia, ma fingo di saperla lunga.

Mangiare il bulgur con la forchetta a due soli rebbi o col cucchiaio modello Mick Jagger è impossibile. Quindi, prendendo ispirazione dal mio cane quando approccia la ciotola dei croccantini, infilo la mia faccia nel piatto.

– A fine pasto è doveroso assaggiare l’acquavite Anderson, aromatizzata all’anice. Ha l’effetto di Mr. Muscolo versato nelle tubature della cucina e ti fa sudare anche l’acqua del battesimo, ma è buonissima.

– Prima di andarmene guardo il terzetto di musicisti che si cimentano in musiche tradizionali svedesi. Gli chiedo di farmi una cover degli Abba ma mi mandano a cagare con lo sguardo. Credo sia giunto il momento di tornare in hotel, non prima di aver passato altri 35 minuti a rivestirmi davanti al guardaroba.