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I racconti del professore: Matteo Monti da Edit

di Alfonso Isinelli

Siamo tornati da Edit a Torino per provare la cucina del resident chef Matteo Monti, nostra conoscenza dal Rebelot di Milano.

Il progetto Edit a Torino si consolida sempre più. L’avevamo visitato a pochi giorni dell’apertura a novembre 2017 e ci era già parso qualcosa di differente rispetto a quelli che in giro per l’Italia vogliono condividere diversi momenti della giornata dalla colazione passando per pranzo, birreria e cocktail all’aperitivo fino alla cena. Diverso sin dalla scelta del quartiere, alla guida di edit a torino adesso c'è matteo monti quello delle case popolari di Barriera di Milano, riqualificato anche grazie a questa apertura, nata dalla ristrutturazione del dismesso edificio dell’Industria Nazionale Cavi Elettrici Torino  e a quella successiva poco più in là della Nuvola di Lavazza. Da poco nella struttura, gestita da Giovanni Rastrelli, sono stati resi disponibili 11 loft magnificamente rifiniti e riguardo al ristorante si è deciso di compiere una svolta. Passare dalla consulenza – di successo – dei fratelli Costardi a un resident chef che potesse seguire quotidianamente il lavoro e creare una propria linea di cucina. E dunque da gennaio ai fornelli del ristorante è arrivato Matteo Monti, piacentino con passaggi importanti presso alcuni grandi nomi della cucina contemporanea italiana da Filippo Chiappini Dattilo a Davide Scabin fino a Paolo Lopriore. Da ognuno di loro ha preso un tocco, dalla classicità al rigore, dall’estro al coraggio, dalla ricerca alla condivisione.

Il primo contatto diretto con la sua cucina era stato un anno fa al Rebelot dove Monti dal suo microspazio a vista sfornava piatti travolgenti, tra tutti un memorabile Coq au vin. L’avventura milanese terminò qualche mese dopo. E ora la ripartenza da Edit, dove in qualche mese ha già saputo trovare i toni giusti, usando uno stile senza fronzoli, diretto. Una carta più tranquilla per i 50 coperti del ristorante (ma ci si trova il Coq au vin di cui sopra e la pecora, tanto per dire) con un costo intorno ai 60 euro. E poi il banco, una dozzina di sedute intorno alla cucina a vista, cuore pulsante del progetto dove su un menu fisso (65 euro, 98 con il pairing alcolico) che può avere anche dei cambi quotidiani in base al mercato. Matteo può esprimersi al meglio istintivamente anche grazie agli abbinamenti tra vini e azzeccate miscelazioni dei ragazzi del cocktail bar.

Se nella gestione Costardi erano le carte da gioco a rappresentare il menu, qui tocca a delle cartoline a cui tocca abbinare i piatti in uscita. Ed è subito divertimento e concretezza con la Salvia fritta spruzzata di gel al carpione e la pizza bianca con mortadella di Bettella. E poi il riferimento piacentino di casa, gli Anolini serviti al tovagliolo come fossero plìn, con un brodo in cui si fondono vermut e chartreuse verde. La lingua e la classica salsa verde, si maritano con le alici fritte; il cannolicchio invece fa vibrare il palato nell’abbinamento con il kumquat.

Poi, dopo la Schiacciata romana con il diaframma, il gioco sale di livello come nel piatto di carne dove in realtà la carne non c’è, ma è ricreata nel gusto attraverso soffritti e fondi o nella ‘nduja che calibra seppia, squaquerone e mezcal, in un turbine culturale di gusti. Travolgente è il matrimonio tra Rognoni di coniglio, fagioli e cozze fritte con un tocco di ricotta.

E qui lo spartito di Monti comincia a esprimersi al massimo, ma ancora manca il pezzo migliore, che non è l’accomodante (anche nel morso) Spaghettone affumicato con burro e parmigiano. Il meglio è segnato dall’arrivo nel piatto dell’Animella cotta nel burro così nuda e cruda, folgorante per quanto è buona.

Qui la cucina di Matteo si espone per quella che è con nettezza. Una cucina convincente. E oggi non è roba da poco.