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Rece Rock: Capounto a Montelupo Fiorentino

di Alex Giuliani

Siamo stati in un’osteria storica di Montelupo Fiorentino, Osteria Bonanni detta Capounto: ecco perché ci è piaciuta e perché ci torneremmo.

A Montelupo Fiorentino ci puoi capitare solo per due motivi: o sei un grande appassionato di ceramica (c’è infatti un famoso museo dedicato a questa nobile arte) o ti si è rimbambito il GPS. Nel mio caso, l’unica ceramica che mi interessa è il coccio da mettere in forno per cucinarci qualcosa. Sono entrato casualmente all’Osteria Bonanni (fondata nel 1920 e meglio conosciuta come Capounto perché il suo fondatore, l’elegantissimo signor Mauro, mette sui capelli tre passate di brillantina) e ringrazio gli dei (ma anche il GPS rimbambito) per avermici portato! Anche Franco, il mio dietologo, li ringrazierà perché potrà aumentare la sua parcella.

– La prima cosa che noto entrando è il cartello che invita a non lasciare la borsa in macchina. A me, che vengo da un quartiere periferico romano dove ti rubano i calzini senza sfilarti le scarpe, l’avviso fa sorridere. Se dovessero fregarmi la borsa qui a Montelupo Fiorentino, non mi farebbero più rientrare a Roma e mi toglierebbero la cittadinanza

– La sala, ricavata dal pian terreno di un casale, è piccolina, rustica e con murales vagamente inquietanti. In fondo c’è la cucina dove la signora Marisa prepara i piatti per tutti. Questa è una visione che da sola mi commuove. Ci accoglie Maurilio, simpatico figlio di Mauro e Marisa, che si siede al tavolo e mi parla in toscano con un tono di voce che sfiora i 90 decibel (al concerto dei Tool, pochi giorni prima, i decibel erano 86). Mi ricorda Panariello quando interpreta Mario il Bagnino. Accanto a me siedono due turisti berlinesi che hanno trovato questo posto grazie ad una guida tedesca. Maurilio la sfoglia orgoglioso e, ritrovandosi in una foto, urla felice “Maremma bucaiola! Non capisco ‘na sega ma l’è ganza ‘sta cosa!”. Per non rovinare un momento così poetico, aspetto un paio di minuti prima di ordinare le pietanze

– Il menu è pieno zeppo di tutti i piatti tipici della cucina toscana. La mia missione è di provarli tutti ma evitando, una volta tornato alla piscina dell’Agriturismo, di morire come Brian Jones.

– Maurilio, che mi vede smagrito (evidentemente vestirmi di nero ancora funziona), mi consiglia di prendere le pappardelle al ragù di cinghiale. Sono talmente buone che ho chiesto di darmi anche la setola del povero animale per farne dei pennelli-ricordo.

– I pici alla nana (cioè al ragù d’anatra) mi fanno idolatrare il citato volatile, tanto da desiderare di andare a vivere in uno stagno. Anche in questo caso, mi faccio donare le piume avanzate per farne dei magnifici pennini-ricordo. Al calamaio penserò quando mi farò un piatto di seppie.

– Per non far torto a nessun animale della zona, assaggio anche gli gnocchi alle rigaglie di pollo. Dopo la tonnellata di carboidrati assunti, sarebbe il caso di scegliere dei secondi che mi permettano di uscire dal ristorante senza far ritoccare gli stipiti delle porte. Quindi proverò solo quattro secondi ed eviterò il dolce. Forse.

– La trippa alla fiorentina è l’ennesimo piatto povero della cucina toscana, in umido e con una spolverizzata di parmigiano. Una delle poche cose che ti fa fortunato anche se prendi il reddito di cittadinanza.

– Decido poi di provare due piatti che sono un esempio perfetto di cucina riciclata: la braciola alla livornese (o braciola rifatta, ovvero una cotoletta panata del giorno prima, successivamente ripassata nel pomodoro) e il lesso rifatto (ovvero il bollito avanzato e ripassato in sugo di pomodoro e cipolle stufate).  Semplicemente tra le cose più buone che abbia mai mangiato da queste parti, anche se hanno il peso specifico di un’incudine da fabbro.

– L’ossobuco con i piselli rappresenta solo una parentesi light per riprendere fiato dai piatti precedenti. Come contorno la scelta dei fagioli all’uccelletto si rivela un’azzeccata forma di suicidio assistito.

– A fine pasto, gli immancabili cantuccini con vin santo mi vengono somministrati endovena dal buon Maurilio. Saluto a malincuore questa osteria a conduzione familiare. Mi sono talmente innamorato della famiglia Bonanni che ho fatto ufficiale richiesta di adozione. Ah, la borsa poi non me l’hanno rubata.

– P.S. Per rassicurare Franco, il mio dietologo, ci tengo a precisare che i piatti qui elencati sono stati consumati in due pasti distinti, unitamente a soli 4 filoni di pane sciapo per fare la scarpetta.