Home Mangiare Ristoranti Il nuovo Imàgo all’Hassler: la svolta di Andrea Antonini

Il nuovo Imàgo all’Hassler: la svolta di Andrea Antonini

di Pamela Panebianco

Il ristorante Imàgo dell’Hassler hotel gode di una delle viste più belle della capitale, ecco cosa gustare dal menu del giovane chef Andrea Antonini

Chi ha qualche rudimento di letteratura classica lo sa. Sa quanto è importante il tema del νόστος, del ritorno, degli agognati rientri. A chi non ha studiato gli antichi basterà pensare a cosa vuol dire dopo un lungo e periglioso viaggio essere ancora una volta sulla via di casa, poterne respirare di nuovo i profumi, saggiarne l’aria, riempirsi il cuore. dopo 12 anni Imàgo cambia rotta: ecco lo chef Andrea AntoniniQuesta per l’appunto è una storia di ritorni (al plurale), in una delle città più viscerali che potrete conoscere: Roma. Sempre giovane, ancora acerba e millenaria. Pluriforme e unica, amata e amara. A Roma è tornato Andrea Antonini, rincasato per diventare lo chef di Imàgo, il suggestivo ristorante stellato dell’Hassler Hotel in cima alla scalinata di Trinità dei Monti. Da cui ci si perde in uno dei più bei panorami del mondo. Mi premeva ricordarlo. Il ristorante ha compiuto 12 anni ed è più che mai pronto a cambiare veste.

A una cucina tutta personale ritorna chef Antonini, lui che pure è giovane, schietto nella migliore accezione possibile, di bellissime speranze. Ma ne ha da raccontare. nel suo curriculum spiccano i nomi dei suoi maestri: fusco, caceres, dacosta, roca, crippa 28 anni trascorsi tra la Capitale, l’Australia, la Spagna e poi su in Piemonte ad Alba. In un percorso gastronomico che è stato puntellato di successi e sospinto dalla ferrea volontà di seguire curiosità e istinto. Nel suo curriculum spiccano i nomi dei suoi maestri: Andrea Fusco e Roy Caceres prima, Quique Dacosta, Joan Roca poi, per tornare ai patrii lidi nelle cucine di Enrico Crippa. Esperienze che ne hanno forgiato professionalità e piglio, accrescendo grandemente entusiasmo e fame di conoscenza. Esperienze in cui la creatività del nostro chef ha trovato l’eco grandiosa di cucine precise come immensi orologi, in cui tutta la brigata si muove a ritmo. È da queste basi che nasce il nuovo Imàgo, è sotto lo sguardo attento di Roberto E. Wirth patron dell’Hassler Hotel che inizia questo nuovo corso. Ritorna ancora una volta a collaborare con un giovane chef. Perché certe formule che funzionano possono ripetersi più volte felicemente.

Quindi per questa estate e via via nell’autunno, prenderà corpo un menu che è in tutte le sue parti permeato della maestosità di Roma e delle bellezze dell’Italia. Perché se dovessimo descrivere la cucina di Andrea in pochi punti partiremmo da questo. Tutti gli ingredienti sono italiani. E non per un mero patriottismo, ma proprio perché Imàgo è crocevia bilanciato di turismo italiano e straniero, e cosa c’è di meglio che spiegare noi stessi agli altri partendo da quello che la terra che abitiamo produce? E quindi siano ben venuti produttori locali, piccoli agricoltori, qualche visionario. E materie che giungono qui in poche unità: 4 San Pietro e 20 triglie per ciascun servizio, per citarne solo due.

L’esperienza di Imàgo per noi ha avuto, stavolta, i contorni di un caldo tramonto di luglio. Seguite il consiglio, ritornate qui per cena e, se potete, seguite il consiglio e tornate qui per cena per godere del tramonto scegliete di immergervi in un calice di bollicine nella accogliente terrazza al settimo piano, poi scendete al 6 piano e accomodatevi perché la degustazione sta per iniziare. Tra gli amouse bouche, la Sfera di spritz mi ricorda quella mangiata a Girona, la Melanzana in agrodolce pulisce il palato per l’arrivo dell’Airbag (una sfoglia ripiena di amatriciana con tanto di guanciale croccante), conclude il piccolo tour la Lattuga liquida. Un plauso per il burro servito al tavolo e per il pane, di rara bontà anche rispetto ad altri pani stellati. Il percorso inizia con Carne cruda, fiori di zucca e alici, in cui la freschezza del fiore crea un raccordo tra la salsa sapida e la carne leggermente tenace. Si prosegue con Capasanta, pomodoro e finocchio (in foto), che mescola il marino con il vegetale sublimando i due sapori. Nella valva della capasanta giunge come side dish il corallo in sfera: cremoso, intenso, sospende il tempo fino alla prossima portata.

La Triglia, panzanella e limone è uno dei signature dish dello chef. È figlio eletto della sua esperienza a casa Roca, vincitore del premio creatività che Joan Roca indice ogni anno per premiare il piatto più innovativo che i suoi della brigata hanno saputo portare in tavola. La triglia è pesce ostico, spinoso e dal sapore leggero, un kick agrumato e acidulo arriva dal connubio limone e panzanella. Subito dopo arriva un altro side, il fegato di triglia. Un bon bon. Si giunge poi a un piatto che grida con tutta sua potenza la forza espressiva della gastronomia romana: Pollo e peperoni in raviolo. All’interno della pasta è racchiuso il pollo, al suo esterno in forma di salsa, dadolata e brodo i peperoni carnosi e rossi. Per chi non conosca Roma è un bignami del pranzo dell’estate. Giungono a completare l’assaggio la pelle dei peperoni e il fegatino di pollo. 

Piatto della discordia o dell’innamoramento cocente, gli Spaghetti ricci e pecorino o li ami o no. Affumicati sotto la cloche, scioglievoli, ultra sapidi di mare e di terra, con l’anima tenace e dal giusto spessore. Lo chef ci confessa che gli stranieri non riescono a capirlo. È una summa di fumo, umami e iodato, per palati abituati a cotanta ricchezza. L’Astice alla catalana è un gioco, è una scommessa con i ricordi. La torretta di patata nasconde la salsa tartara, le verdure sono croccanti, del crostaceo assaggi la coda nel piatto principale e la polpa sminuzzata in un piatto di accompagnamento che è un piccolo taco scioglievole. Il San Pietro, mandorle e taccole (in foto) pur essendo un piatto di mare è incentrato sul vegetale. C’è Piazza Duomo nei vegetali, come potrebbe essere altrimenti?

Si conclude con Piccione, camomilla, lardo e borragine (in foto). Il petto lardellato, con il suo fondo, la coscia da spolpare tenendola per la zampa. Andrea lo dice chiaro, la sua cucina vuole rifuggire dalle cotture a bassa temperatura, è tempo che le padelle tornino, riappaiano le cotture espresse. Che lo chef sappia cucinare. Perché il roner è fondamentale quando si fa avanguardia pura, quando uno strumento fa parte di una scienza esatta, l’abuso della tecnologia troppo spesso è deleterio. Idee chiare. Torneremo con l’arrivo del freddo. Per vedere il cielo livido d’inverno in questa splendida cartolina che è la sala dell’Imàgo.