Rece Rock: Roma Bar Show 2019
Siamo stati al Roma Bar Show, sia come organizzatori dell’area Food Experience, sia come curiosi all’evento: vi raccontiamo la nostra esperienza.
Sono reduce da una calcolosi renale e il dottore mi ha tassativamente vietato di mangiare salato e, soprattutto, di bere super alcolici. Quindi prima di andare al Roma Bar Show la scorsa settimana, ovvero l’evento che unisce il mondo del beverage e della mixology, sono andato dal notaio per la redazione del mio testamento. Se a ciò aggiungete la mia totale incompetenza in materia, capirete che sono andato a questa manifestazione con l’approccio timoroso di un migrante che sbarca a Lampedusa durante il mandato di Salvini al Ministero dell’Interno.
– Il Roma Bar Show si è tenuto al Palazzo dei Congressi di Roma, quartiere Eur. All’ingresso c’era l’area Food Experience (organizzata da Agrodolce, ndr) con dei diabolici food truck che emanano profumi tali da farmi sbavare come un molosso. Ma tiro dritto, sfoggiando una forza di volontà che manco Ulisse con le sirene. Poco prima di entrare mi hanno subito offerto una birra fresca che accetto volentieri. Ovviamente, sarò l’unico a girare con una birra in mano e sarò disprezzato da chiunque incroci.
– La prima cosa che noto è che la maggior parte dei bartender e dei lavoratori del settore hanno i baffi a manubrio come Vittorio Emanuele III, le barbe a colonna dorica come Re Leonida in 300 e sono quasi tutti vestiti come Robert Redford in La Stangata.
– Ci sono rappresentanti di innumerevoli marchi e produttori, dai più famosi (che conosco persino io) a quelli più di nicchia, raggruppati in diverse aree tematiche: Coffee and Beer Experience, Liquor and Spirit Shop, Mexico Village e Gin House, a cui si aggiungono il palco dell’Auditorium Capitalis e l’area Tasting & Masterclass. Per mantenere intatta la mia ignoranza in materia, decido di disertare i vari seminari, masterclass, talk e conferenze. A onor del vero, quando ho chiesto dell’Auditorium, un tipo visibilmente alticcio mi ha risposto che distava almeno 20 chilometri da lì. L’aveva confuso con il Parco della Musica. Un palese segno del destino.
– È umanamente impossibile provare tutti i prodotti qui presenti senza rischiare di sbronzarsi e iniziare a parlare come Young Signorino, quindi opto per pochi brand più esotici e di nicchia. Mi approccio al primo stand e arriva subito la domanda che non ti aspetti: “Sei un addetto ai lavori? Un esperto di beverage e cocktail?”. La mia faccia, attonita come se mi avessero chiesto qualcosa in dialetto lappone, tradisce la mia più totale sorpresa. La mia risposta: “Sono solo un avventore e non ho i baffi a manubrio” si rivelerà un errore imperdonabile e un boomerang letale, perché seguiranno lunghissime spiegazioni sulla storia, sulla lavorazione e sulla conservazione di ogni singolo prodotto. Tradotto: un’ora e mezza per assaggiare il primo drink. Alla quarta dissertazione ho iniziato ad arricciarmi i baffi e a mentire spudoratamente: “Sì, lavoro nel settore, sono un esperto, so tutto. Vorrei solo assaggiare”.
– Mi soffermo al Mexico Village, area tematica dove ho potuto assaggiare diversi tipi di ottimi distillati di agave messicani, come tequila e mezcal. Soprattutto quest’ultimo mi ha riportato alla mente quando da ragazzo (ovvero fino a 6 mesi fa circa…) finivo la bottiglia per mangiare la larva che stava sul fondo. È credenza popolare messicana che questo rito doni grande vigore sessuale. Ovviamente è una bufala e, dopo una bottiglia di mezcal, la cilecca è garantita. Ho voluto condividere questo mio ricordo col bartender di turno che mi ha guardato con compassione prima di chiamare la security.
– Vista la temperatura da altoforno all’interno del Palazzo dei Congressi, decido di prendere un po’ di fresco salendo sulla terrazza all’ultimo piano, dove scopro che c’è l’area del Singita Miracle Beach. Sì, lo stabilimento di Fregene. Sì, quello dove ti costringono a metterti un brillantino sulla fronte (se ti dice bene) e mezzo chilo di glitter sul resto della faccia (se ti dice male). Solo dopo esser stato conciato come Priscilla – La regina del deserto posso finalmente varcare l’ingresso, sorbirmi la solita musica Buddha Bar e bermi un drink seduto a gambe incrociate sugli scomodissimi cuscini buttati sul pavimento. Visto che sono agile e snodato come un pioppo, alla fine bevo in piedi una birra Messina (quella coi cristalli di sale che mi faranno tornare i calcoli) e mi gusto lo spettacolo dei trampolieri del Nouveau Cirque.
– Al Roma Bar Show si festeggia anche il centenario del Negroni, che è proposto in diverse interpretazioni dai più rappresentativi bartender italiani che io ovviamente non conosco. Chiedo se possono prepararmi un Negroni come li fanno al Papeete di Milano Marittima e che ti fanno delirare dopo una sola sorsata (l’ennesimo riferimento a Salvini è casuale) ma mi guardano male e chiamano per la seconda volta la security.
– Vado nella più accogliente Gin Area dove apprezzo il Roku gin che combina 6 differenti botaniche giapponesi. Buonissimo ma mi fa leggermente girare la testa. Chiedo al bartender se le 6 botaniche provengano dall’area radioattiva di Fukushima. Lui, non cogliendo l’ironia, ha chiamato per la terza volta la security.
– L’alcol inizia a farmi camminare come i trampolieri del Nouveau Cirque e la temperatura tropicale mi fa sudare come un mezzofondista etiope, quindi decido di tornare sulla terrazza a prendere un po’ di fresco dove c’è un magnifico tramonto. Prima di andarmene passo velocemente nell’area Coffee & Beer Experience, dedicata all’incontro del caffè con i prodotti della mixology e alle birre locali e artigianali.
– Esco e, sulla piazza antistante al Palazzo dei Congressi noto un paio di Vigili Urbani intenti ad alimentare un enorme falò: sono le patenti ritirate ai partecipanti del Roma Bar Show. Una manifestazione davvero molto bella che avrà sicuramente un seguito nei prossimi anni e che vedrà aumentare il già cospicuo numero di partecipanti. Senza patente, ovviamente.