Rece Rock: Street Food Festival a Roma
In occasione del primo Street Food Festival indoor a Roma, abbiamo provato a mangiare quanto più cibo di strada possibile: ecco come siamo sopravvissuti.
La prima edizione indoor dello Street Food Festival a Roma (organizzato da Typical Truck Street Food) si è tenuta dal 29 novembre al primo dicembre presso il San Paolo District, la prima edizione al chiuso del festival dello street food un vecchio deposito dell’Atac inutilizzato da anni perché gli autobus hanno ormai preso tutti fuoco. Armato di estintore e di santa pazienza, decido di raggiungere il luogo dell’evento con i mezzi pubblici e me ne pento non appena salgo sul vecchio treno della metro B, dove un fisarmonicista balcanico suona (male) Beat It di Michael Jackson. A passo di moon walk arrivo in questo vecchio ma affascinante capannone che, sorprendentemente per essere sabato, non è ancora affollato. Forse per colpa della terrificante musica di sottofondo, che spazia dagli 883 a Bobby Solo.
– Lo spazio è davvero suggestivo e ospita una trentina di food truck che, a differenza degli autobus Atac, fanno fumo senza prendere fuoco. Sono travolto da mille profumi diversi e inizio ad annusare nervosamente ogni angolo dell’area con la stessa euforia di un cane maschio quando esce di casa e va a marcare l’intero quartiere.
– Dopo una fugace passeggiata attraverso il Farmer’s Market, il mercato agricolo a vendita diretta, tento di abbozzare un percorso gastronomico che abbia una logica ma fallisco miseramente. Somiglio alla pallina impazzita di un flipper e rimbalzo da una parte all’altra in cerca dell’offerta migliore. So che non potrò mangiare tutto (chiaramente ci proverò) e quindi dovrò operare selezioni e scelte dolorose.
– Avendo lontane origini ascolane, mi approccio a Oliva time, specializzato in olive ascolane e cremini fritti. Ovviamente prendo entrambe, provando però la variante al tartufo delle ascolane. Contravvenendo al saggio consiglio di aspettare qualche minuto prima di mangiarle, mi tuffo a bomba sul cartoccio fumante e mi ustiono la lingua come Fantozzi con il pomodorino alla cena della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare. Nonostante questo, godo enormemente.
– Dopo aver stemperato la lingua con una fresca birra cruda Landshuter Brauhaus, decido di passare da Saccoccia Romana e di provare una saccoccia (ovvero un panino ovale composto di tre farine, rivisitazione della tipica pinsa romana) ripiena di coda alla vaccinara con fonduta di pecorino. Mi chiedo perché mi sia dato anche un enorme bavaglino e una salviettina umidificata, ma ci metto un secondo a capirlo: dopo il primo morso sono già ridotto come Dexter dopo aver sezionato una delle sue vittime. Il panino è buonissimo e scrocchiarello, tanto che ne chiedo un altro, unitamente a un accappatoio.
– Dopo aver fatto una doccia ed essermi ripulito dagli schizzi di vaccinara, posso approcciare ai truck food successivi. Vengo inesorabilmente attratto da Le Bontà Siciliane dove prendo un panino ca’ meusa e la stigghiola. Il primo, per chi non avesse dimestichezza col dialetto siciliano o non abbia mai ricevuto un pizzino con la lista della spesa da parte di Bernardo Provenzano, è un classico panino con milza di vitello arricchito con una grattugiata di caciocavallo e una spruzzata di succo di limone e pepe. La seconda invece consiste in budella di agnello arrotolate attorno a un cipollotto, cucinate sulla brace e condite con limone e sale. Insomma roba per stomaci forti e, soprattutto, aliti forti. Infatti, per sopravvivere al vostro stesso respiro, è consigliabile mettere sotto le narici un po’ di unguento all’eucaliptolo. Si, proprio quello che usano i medici legali durante un esame autoptico.
– Sto iniziando a sentirmi sazio e, prima di scegliere con cura i prossimi food truck, temporeggio bevendo del rovente vin brulè. Praticamente, dopo aver assaggiato le specialità siciliane, è come se mi fossi tuffato a bocca aperta nel cratere dell’Etna
– Dopo questa breve riflessione, opto per dei semplici ma salatissimi arrosticini da Bizzi. Maledirò la mia scelta per le successive 6 ore, in cui avrò la lingua felpata, la salivazione azzerata e la pressione arteriosa della Sora Lella.
– Decido saggiamente di contrastare il sale mangiando zucchero e mi reco in due banchi di dolci, Cookie Jam e Petriglia. Dal primo prendo una buona cheesecake (la versione classica ai frutti di bosco, leggera come un lucchetto per saracinesca), dal secondo invece riesco a trovare le famigerate ciambelle al mosto: tipiche di Marino, sono sfornate solitamente a fine settembre/inizi di ottobre. Quest’anno non avevo ancora avuto modo di mangiarle e trovarle qui mi ha fatto esultare come Galeazzi quando gli Abbagnale vinsero l’oro alle Olimpiadi di Seoul nel 1988.
– Sentendomi appesantito come il già citato Galeazzi, supero a malincuore gli altri banchi senza fermarmi. Vedo scorrere davanti ai miei occhi le scritte tortelli alla porchetta, pizza fritta, burritos, hamburger di chianina, salsiccia irlandese, carciofo alla giudia, puccia adriatica con polpo e vado via mestamente, con dei sensi di colpa che neanche Dick Rowe, il produttore della Decca che scartò i Beatles. Ma il mio non è un addio, è solo un arrivederci alla prossima edizione.