C’è un ristorante al Pigneto in cui sulla pasta al ragù non vorrete mettere il formaggio: ecco perché
The Ground è un ristorante di terra nel quartiere Pigneto di Roma: piatti ben eseguiti e una drink list tutta da bere.
The Ground è la terra, dal sottosuolo al campo, passando per il sottobosco e il maggese. The Ground sono Simone Rosati e Loris Tinca e Davide Controni che scelgono di aprire a Roma in via Filippo de Magistris 66 un ristorante e cocktail bar con le idee in via di chiarimento ma nelle premesse convincente. La formula? Un ambiente di un gradevole color ottanio, mattoncini color cotto, un bancone di mattonelle laccate, pelle biscotto e ferro antracite, qualche tocco di green senza che il ristorante si trasformi in una giungla cittadina.
Tavoli minuti ma confortevoli e ben distanziati, sono 40 i coperti all’interno. Una zona dinner e uno spazio da cocktail bar che non escludono che si possa cenare e bere nell’una o nell’altra parte vicendevolmente, la cucina, alle spalle del locale, è visibile quel tanto che occorre, una enorme vetrata che affaccia sul dehors (aperta nella bella stagione). Si potrà cenare e bere all’aperto, godendo dello scalpiccio e dell’andirivieni tipico del Pigneto. Ne viene fuori un ambiente caratterizzato senza che l’arredo o l’atmosfera risultino artificiosi.
Una cucina di solidità e concretezza, che parte dalla terra, manipola quel tanto che basta gli ingredienti per ottenere piatti comprensibili e in sé concludenti. Non è la ricerca spasmodica di un percorso in cui una portata richiede la seguente per trovare compiutezza. Sono piatti circolari senza risultare ampollosi, portate golose senza essere sovrabbondanti. D’altronde il Pigneto è quartiere pop, di movida ma anche paese nella città: la bocciofila, il parco, la scuola, il tram, il circolo culturale, la strada pedonale, e potrei dilungarmi, tutti questi luoghi sono elementi cardine di una zona vivente sia di giorno che quando cala la sera. Il progetto quindi non può prescindere dal quartiere. Da una apertura soft a pranzo, una attenzione al momento del tè o la merenda, da un servizio informale per l’aperitivo, una cena convincente, un dopo cena che guarda al bere miscelato di cui Michela Stupazzini è interprete capace.
Il menu è puntellato da sparuti piatti della tradizione con brevi twist e tocchi di novità. Almeno in principio. Per inserirsi in un tessuto ristorativo popoloso ma non saturo e soprattutto trovare la propria identità. La carta, per questa ragione, cambia spesso sia per abituare la clientela alla vision del locale sia per capire la potenzialità di ciascun elemento, che di una ristorazione di azzardi e spocchia ne abbiamo un po’ tutti piene le tasche. Senti lo chef Gianfranco Zinzi dire: “Per me la ristorazione contemporanea non è tutto quinto quarto. Io poi in fondo sono un classicista.” Un romantico forse. E non nell’accezione di sentimentale. Un romantico è colui che vede poesia nelle cose, che davanti alla potenza della natura ne rimane estasiato e incredulo ma non ne diviene succube. Fuori di metafora Gianfranco è ben piantato sui suoi piedi. Non cerca evoluzioni e scommesse, mira al sostanziale.
L’olio a marchio The Ground è prodotto da una azienda di Canino, le carni sono della Macelleria Galli, i salumi Dol e il pane di Paolo Mergè completano il quadro dei fornitori. Largo spazio ai tagli pregiati della carne (filetto e entrecôte) ma anche agnello e faraona, scelta tra i volatili per il legame alla cucina classica. Gli antipasti passano dal fritto del carciofo con fonduta di parmigiano e crumble di pane fritto al profumo di anice stellato della battuta di carne. Tra i primi spiccano gli spaghettoni agli spinaci con ragù bianco di selvaggina con l’aggiunta preziosa dell’acidità dei mirtilli, ai quali non avrete bisogno di aggiungere l’umami del formaggio perché contenuto naturalmente nella grassezza del trito di carni (la foto è in copertina).
Al coniglio sotto forma di farcia per un tortello, ancora per poco fuori menu, che vede in funghi shitake e asparagi i suoi sparring partner. La pasta all’uovo è tirata con precisione: rustica e ruvida non ricerca spasmodicamente il dente, anzi si presenta cedevole anche laddove la pasta si arriccia per sigillare il tortello. Esaltano la tagliata la salsa leggera di mandorle e la maionese all’aglio nero senza fare della carne un mero accidente (in foto). La costoletta di agnello è servita su una purea di patate viola e rapa rossa con salsa verde. I dolci sotto la consulenza di Alessandro Tiscione, sono piacevoli e concludono con gioia una cena soddisfacente. La carta dei vini è esigua ma adattabile, la drink list può crescere di molto grazie all’esperienza della bartender.
Michela gioca con succhi e sciroppi, rivisita i cocktail classici asseconda le scelte anche dei clienti più esigenti. D’altronde la sensibilità è una caratteristica che le appartiene e sentirsi ben accolti al The Ground è una faccenda immediata.