Home Chef Divertirsi tra i monti al cospetto di Paolo Griffa al Petit Royal

Divertirsi tra i monti al cospetto di Paolo Griffa al Petit Royal

di Chiara Patrizia De Francisci

Siamo stati al ristorante Petit Royal, una stella Michelin custodita nel Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur: in cucina la genialità di Paolo Griffa.

A Paolo Griffa luccicano gli occhi. Il sorriso accogliente si intuisce anche sotto la mascherina. Ci salutiamo con il gomito all’ingresso della cucina del Petit Royal, il suo regno tra i monti a Courmayeur (via Roma, 87) nel Grand Hotel Royal e Golf. Del giovane chef ho letto lodi ovunque: mi ha incuriosito per anni, con quell’elegante aria da prestigiatore e il forte wanderlust, il desiderio di viaggiare, che si legge tra le righe dei suoi piatti. Allo stesso tempo c’è un intenso amore per il local, la Valle d’Aosta delle erbe, delle carni, dei formaggi. Ogni pietanza a suo modo custodisce poi una componente ludica che trasforma la cena in uno squisito divertimento.

La sala è orchestrata con dolcezza ed eleganza da Vadim Vasilevschi, che con Paolo condivide la giovane età. Lo aiutano Federica Tomasini e il sommelier Alessandro Mantovani, autore del nostro percorso enologico che ha azzeccato personalità e preferenze dei commensali, unendole in maniera impeccabile ai piatti di chef Griffa. In particolare un Lageder Am Sand 2016, Gewürztraminer DOC che mi ha incantato dal primo all’ultimo sorso, con un’evoluzione straordinaria. Tutto il team è preparato, la sala è fluida, il ritmo è cadenzato e puntuale, non ci sono affettazioni inutili: mi sono sentita a mio agio dal primo all’ultimo momento.

Vadim e Federica ci avevano accompagnato in un picnic pomeridiano alla scoperta dell’orto aromatico del Petit Royal, riempendoci di premure e dimostrandosi ottimi interlocutori. Nel corso del pomeriggio si è fatto sempre più evidente il loro orgoglio e il piacere di lavorare in questa struttura, ma soprattutto di condividere con uno chef come Paolo Griffa l’esperienza professionale.

E la cena? Se pensate che gli amuse-bouche siano inutili esercizi di stile, dovreste provare il benvenuto di chef Griffa. Sono bocconi dall’aspetto delicato, con una cura per i dettagli che fa immedesimare nell’impegno di chi ha ricavato fragili fiorellini dalle carote e preparato minuscoli airbag di impasto farciti di agnello, kefir e spezie. Ed è questo, insieme al goloso pane fritto con anguilla affumicata e alla cromesquis di lumaca, a farmi battere i piedi sotto al tavolo dall’impazienza per ciò che deve ancora arrivare. In particolare adoro la crocchetta: è alla perfetta temperatura e la panatura croccante cede subito il passo all’avvolgente mix di burro e aglio.

Il pane, tagliato a fette fin troppo comode per la mia fame, preparato con lievito madre e farina di cereali e semi, è pericoloso: ancora caldo, accompagnato dal burro morbido, è irresistibile.

La prima portata rende omaggio alla terra in cui ci troviamo, in particolare alla vista che si gode dalle camere dell’hotel. Lo Skyline del Monte Bianco è una passeggiata tra le vallate, un passaggio nell’orto aromatico dello chef. L’impressione, dopo un assaggio, è di stare in mezzo all’erba in estate. La cialda di topinambur che ricalca le forme della montagna è squisita.

Il Ceviche di trota salmonata di Morgex alla pesca e lavanda è l’unione di tre mondi. Il pesce marinato nell’acidità degli agrumi chiama il Sudamerica, ma la trota è local. Il terzo mondo è quello dell’arte: la carpa di gel sul fondo del bicchiere che invoca Hokusai.

La Tajine di verdure si annuncia prima ancora di giungere a tavola: il profumo è intenso, ricco, sembra di sentirlo scendere giù in gola come fosse solido. I nastri di verdure – dove niente è ciò che sembra e una carota può nascondersi e reinventarsi – poggiano su una salsa lassi al cumino e menta, accompagnati da cous cous al limone e cannella. Il piatto è un omaggio alle eleganti opere di Yulia Brodskaya.

La Favò è una specialità valdostana che chef Griffa ha alleggerito senza privarla del comfort di un cibo sostanzioso e saporito. I ditalini di farro sono cotti in un brodo di salsiccia e verdure. Sono poi mantecati con la fontina, come si conviene, ma al posto delle fave sfaldate dalla cottura si trovano le gemme fresche e incredibilmente verdi che qui arrivano in estate. A illuminare il piatto c’è un olio di santoreggia e basilico; il croccante è affidato alle chips di pane nero.

L’arte è ben presente nelle idee dello chef: dopo Hokusai e Brodskaya arriviamo a Andy Warhol e Banksy. Il primo si unisce alla tavola con la lattina che riprende la zuppa Campbell’s (qui griffata Petit Royal). Invece della tomato soup, c’è una rassicurante vellutata di pollo e funghi, versata su un paesaggio di crostini di pane all’aglio nero, una quenelle di panna alla cipolla caramellata punteggiata di minuscoli fiorellini (un altro mirabile esercizio di precisione e pazienza), perle di tapioca al finocchietto e finferli saltati.

Con il piatto successivo siamo negli UK di Banksy, nella patria delle pork pies, la cui versione Griffa la eleva a elegante scrigno di pasta farcito con cinghiale, tartufo nero e lardo d’Arnad. A spezzare la ricchezza della pie, un’insalatina di foglie fresche croccanti e gastrique di ciliegie.

Il ruolo principale dei secondi se l’è accaparrato il Filetto di cervo, le cui carni locali lo chef si assicura ogni anno comprandone quasi la totalità disponibile. Il cervo è grigliato e glassato alla resina di pino, accompagnato da un fondo della stessa carne e una riduzione di mirtilli selvatici che si scioglie a contatto con la salsa calda. A lato, come ci si aspetta che sia, un fazzoletto di polenta alla fontina (leggera come invece non ci si aspetta) che copre il ragù di funghi.

Prima del dessert, il maître Vadim si avvicina al tavolo con un apparecchiatura curiosa. Questa macchina per il kakigori, dolce nipponico rinfrescante che ricorda le granite, è tornata in Italia nella valigia dello chef direttamente dal Giappone. Il ghiaccio è a base di acetosella, cosparso di sciroppo – a scelta – di rosa canina, di pino oppure di miele di castagno. La freschezza ideale per preparare il palato al dolce.

Banana Splash arriva al tavolo tutto sommato in maniera discreta: sul piatto c’è un biscuit coulant al cioccolato a forma di banana, neve di créme fraîche ghiacciata, popcorn caramellati al curry e lamponi freschi. Solo dopo arrivano i camerieri che – come cecchini ben addestrati – lasciano cadere dall’alto un’altra banana che si frantuma sul piatto: è un guscio di cioccolato farcito di cremoso alla banana caramellata e caramel mou.

Si gioca fino all’ultimo, anche poco prima di congedarsi (purtroppo). I petit fours invitano i commensali a sfidarsi al tris. Vincono la ganache al frutto della passione e il croccante al cioccolato con feuillantines. In realtà a vincere è Paolo Griffa insieme a tutti i suoi ragazzi. Una cena in cui nessuna sbavatura ha intaccato il percorso, dove sentirsi accolti e a proprio agio dall’arrivo alla partenza, è cosa rara. In tempi così incerti, una sicurezza da custodire.