È vero che la carne va “sigillata” in cottura?
Sigillate la carne su tutti i lati, per far in modo che i succhi rimangano all’interno e si mantenga morbida in cottura. Quante volte avete letto o sentito questa frase? Bene, da oggi in poi siete autorizzati a dimenticarla. Per sigillatura si intende la rosolatura o scottatura veloce della superficie esterna di un pezzo di carne, un procedimento con cui si crea una crosticina che dovrebbe consentire di tenere dentro tutti i liquidi.
Come spiega bene il chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini, storia narra che a inventare questo tecnica fu un chimico nella prima metà dell’Ottocento, il celebre Justus Von Liebig, ideatore – tra le altre cose – di un omonimo estratto di carne. Nel 1847, nel suo libro Researches on the chemistry of food Von Liebig enunciò la teoria della sigillatura, rifacendosi alla tecnica di cauterizzazione delle ferite. E, vista la sua fama di scienziato, la teoria fu prontamente accettata anche dai cuochi, per cui il mito della sigillatura cominciò a dilagare.
In realtà, già una cinquantina di anni dopo, questa teoria fu scardinata da prove empiriche. Anzi, con le alte temperature della sigillatura, era stato dimostrato chiaramente che la perdita dei succhi interni aumentava anziché diminuire. Nonostante questo il mito della sigillatura sopravvive ancora oggi. Perché? Sostiene ancora Bressanini – e con lui tutta una pletora di altri addetti ai lavori – che la colpa sia da imputare anche stavolta alla chimica, più precisamente alla reazione di Maillard, quella che produce piccole molecole gustose, per cui la rosolatura iniziale forma la crosticina bruna e saporita.
Sigillare, dunque, non è di per sé un errore e ha i suoi vantaggi, se quello che vogliamo ottenere è un buon sapore. Se invece ci stiamo affannando perché vogliamo trattenere i liquidi stiamo decisamente sbagliando processo. La succosità interna, infatti, dipenderà soltanto dalla temperatura di cottura raggiunta.
E il mondo dovrebbe cominciare a mangiare meglio.
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