Home Mangiare Ristoranti Rece Rock: Senza Fondo, l’all you can eat di cucina romana

Rece Rock: Senza Fondo, l’all you can eat di cucina romana

di Alex Giuliani 8 Giugno 2021 09:17

Siamo stati da Senza Fondo, il primo all you can eat di cucina romana a Roma: tanti piatti apprezzabili ma anche qualche scivolone.

Quando la direzione di Agrodolce ha dovuto scegliere chi mandare tra i suoi autori in un posto che si chiama Senza Fondo (il primo all you can eat di cucina romana nella Capitale), la formula all you can eat probabilmente non piace ai puristi sono certo che abbia pensato a me senza alcuna esitazione. D’altronde senza fondo è un’etichetta che mi sono guadagnato a tavola con anni di duro lavoro e di faticosissime digestioni, fin da tenerissima età. E poi, ammettiamolo, la formula all you can eat probabilmente non piace alla maggior parte dei puristi del mondo del food. Ma io che in questo ambiente posso al massimo considerarmi come un imbucato a una festa, accetto quest’incarico con lo stesso entusiasmo con cui da adolescente sfogliavo Postalmarket, sezione lingerie e biancheria intima.

– Senza Fondo, creatura nata dall’idea di Diana Russo nell’ambito del Navona Notte, sta già facendo parlare molto di sé a livello mediatico e da più parti mi è stato nominato. Quindi, vuoi per la mia ipertricosi, vuoi per il mio abbigliamento monocromatico e mortifero, sono curioso come un gibbone nero.

Il ristorante si trova a 50 metri da piazza Navona, in via del Teatro Pace 44 che, in tempi normali, è uno splendido vicoletto incastonato tra la Chiesa di Sant’Agnese in Agone e il Chiostro del Bramante. In tempi di Covid e con i ristoratori costretti a mettere tavoli solo all’aperto, questa viuzza diventa qualcosa di simile a una banchina della stazione della Metro A all’ora di punta. Un incubo ogni volta che deve passare una macchina e, se sei seduto a uno dei tavoli più esterni, corri il rischio di pulire con la schiena la fiancata delle automobili in transito senza neanche ricevere un euro per il servizio. La sala interna sarebbe decisamente più accogliente e rustica, ma al momento della mia visita non era fruibile. Per fortuna il mio tavolo è in buona posizione, non rischio un’insolazione e neanche di essere investito da un automobilista vegano. Insomma posso ancora rimandare la stipula dell’assicurazione sulla vita.

L’accoglienza è molto cordiale, il personale è gentilissimo, il servizio è rapido. La sola lettura del menu mi fa ingrassare di un paio di chili, perché presenta quasi tutti i piatti della tradizione romana (notoriamente digeribili come la lettura dei 4 volumi di Guerra e Pace di Tolstoj) ma appare subito evidente che sia dedicato principalmente ai turisti, magari d’oltreoceano e potenziali prossimi clienti del dottor Younan Nowzaradan di Vite al limite. Visto dove ci troviamo, non ci trovo nulla di strano, ma non posso non notare la mancanza di qualche “must” come i rigatoni con la pajata o la coda alla vaccinara. Viste le premesse, in maniera cautelativa prenoto un’ambulanza per dopo pranzo, pur sapendo che per arrivare a me dovrà investire almeno una mezza dozzina di clienti dei tavoli più esterni.

– Inizio con un po’ di antipasti sfiziosi: affettati (mortadella, finocchiona e prosciutto crudo), fritto misto vegetale, mini supplì e parmigiana di melanzane. Sarà per la temperatura che ricorda più la Death Valley che Roma o per gli antipasti abbondanti, ma inizio già a sudare come Frank Matano in LOL-Chi ride è fuori.

– La scelta dei primi piatti non aiuta di certo a rinfrescarmi: tagliolini alla gricia con carciofi e pasta con fagioli e cotiche sono due pietanze altamente sconsigliabili quando hai già l’affanno di Aldo Fabrizi alla fine dell’inseguimento a Totò in Guardie e Ladri. La gricia è apprezzabile e abbondantemente condita, tanto che chiedo un filone di pane extra per fare una scarpetta talmente accurata che neanche il Maestro Kesuke Miyagi di Karate Kid quando mette e toglie la cera.

– Purtroppo la pasta e fagioli mi lascia deluso come quando ho scoperto che i Milli Vanilli cantavano in playback, perché i cannellini sembrano in scatola e la cotica è troppo poca. Ora, non pretendo che nel piatto ci debba essere una striscia di cotenna lunga come una cinta di Adinolfi, ma visto che ne era stata preannunciata la presenza, ne avrei voluta sicuramente di più.

– Tra i secondi ho apprezzato i saltimbocca alla romana (anche qui è partita una scarpetta in stile mola abrasiva, tanto che il piatto non ha avuto neanche bisogno di passare per la lavastoviglie) e le polpette al sugo che ho mangiato con la stessa nonchalance con cui ingoio moscerini quando sbadiglio sullo scooter.

– Discreta anche la coratella con (pare) carciofi, sebbene abbia un sapore un po’ troppo gentile. Per i miei gusti, questo è un piatto che dovrebbe lasciare un alito tipo fogna di Nairobi ed avere la stessa efficacia sociale dello sfollagente telescopico della polizia americana. Le polpette di bollito purtroppo sono un po’ asciutte e hanno richiesto un supplemento di Primitivo di Manduria per essere mandate giù agevolmente. Insomma non tutto il male viene per nuocere.

– I contorni, scarola e cicoria ripassata, rendono il mio sorriso irresistibilmente simile a quello dell’Imperatore Darth Sidious in Guerre Stellari. Grazie ad uno stuzzicadenti e alla disponibilità di un automobilista di passaggio con una Smart, ho potuto ripulire gli incisivi usufruendo del suo specchietto laterale.

– Il pomeriggio si chiude con l’immagine poetica (per me) e patetica (per quelli intorno che mi osservano) di me alticcio che do da mangiare un po’ di mollica a dei passerotti audaci e talmente paffutelli che mi han fatto venire voglia di un piatto fumante di polenta e osei. Lo so, sono una brutta persona. In conclusione, senza dimenticare che un pranzo a prezzo fisso di 19,50 euro difficilmente potrà risultare memorabile, sono certo che questo tipo di formula avrà molto successo tra i più giovani e, soprattutto, tra i turisti che torneranno presto ad affollare questa magnifica zona di Roma. Loro se ne andranno da qui sicuramente soddisfatti. Un vecchio catorcio romano come me, forse un po’ meno.