Home Bevande Il vino bianco più interessante al mondo è italiano: intervista al suo produttore, Ampelio Bucci

Il vino bianco più interessante al mondo è italiano: intervista al suo produttore, Ampelio Bucci

di Andrea Amadei 13 Dicembre 2021 11:00

Il suo è il vino bianco più interessante al mondo secondo il Wine Enthusiast: intervista ad Ampelio Bucci, di Villa Bucci nelle Marche.

L’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare” in questa frase del maestro Giorgio Armani c’è molto del pensiero di un grande vignaiolo. Lo stesso che ha rivoluzionato la storia e risollevato le sorti di uno dei più grandi vitigni bianchi italiani: il Verdicchio. Si chiama Ampelio Bucci e qualche giorno fa il suo Castelli di Jesi Villa Bucci Riserva è stato nominato vino bianco più esaltante del mondo da una delle riviste di settore più seguite. La newyorkese Wine Enthusiast l’ha infatti posizionato al secondo posto nella classifica dei 100 most exciting wines 2021, alle spalle del rosso bordolese Château Siran 2018 Margaux.

“Si apre con seducenti aromi di macchia mediterranea, fiori gialli primaverili, eucalipto e agrumi. Il delizioso palato offre sentori di succosa pesca gialla, finocchio, mandorla bianca e un accenno di pompelmo insieme a un’acidità piccante. Una nota minerale e salina aggiunge profondità. Assolutamente fenomenale”. Così i degustatori hanno descritto il vino di Ampelio. Un riconoscimento importantissimo per tutta l’enologia italiana, sia per l’eco mondiale della classifica che consacrerà a vino cult il già apprezzatissimo Verdicchio in questione, sia per il coronamento del rigoroso percorso di ri-nascita intrapreso dalla viticoltura jesina. Sono ormai lontani più di mezzo secolo i tempi in cui il Verdicchio veniva svilito da enormi rese per ettaro e svenduto oltreoceano nelle famose bottiglie a forma d’anfora che l’hanno banalizzato fino a comprometterne l’immagine. Il ribaltamento di fronte si deve alla paziente dedizione dei vignaioli dei Castelli di Jesi che hanno sempre creduto i quelle dolci colline a metà strada fra il parco appenninico di Frasassi e il mar Adriatico.

Capofila di questi tenaci produttori, da tanti anni, è proprio Ampelio Bucci. Nato a Ostra Vetere (AN), 85 primavere e 40 vendemmie alle spalle. Appena nominato Vignaiolo dell’Anno dalla Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, i suoi vini sono presenti in tutte le carte dei migliori ristoranti del Bel Paese. Potremmo immaginarci Ampelio come un uomo austero e riservato, uno di quelli schivi e un po’ snob sempre difficili da raggiungere e intervistare.  Invece è l’esatto opposto. È un personaggio affabile, sempre disponibile e pronto ad aiutare chiunque. “Uno che viene dalla terra” dice lui. Uno di quelli che chiami alle otto di sera per un breve chiarimento sulla storia del suo Verdicchio e ti risponde entusiasta, diciamo noi. È andata così anche ieri quando l’abbiamo raggiunto telefonicamente per congratularci e farci raccontare la sua storia.

“Le Marche sono state fino agli anni ’50 la Regione della mezzadria. Si lavorava sulla quantità, piuttosto che sulla qualità, il vino era una bevanda quotidiana e le viti il mezzadro le teneva in singoli filari giusto per separare un campo dall’altro e prodursi la sua bevanda quotidiana. Dopo quel periodo storico non cambiò molto: chi aveva abbondanza di uve le vendeva alle cantine sociali ma l’agricoltura rendeva pochissimo, economicamente parlando. In molti assecondammo il boom economico trasferendoci nelle grandi città. Tanti andarono a lavorare a Torino alla Fiat. Io mi ritrovai a Milano a lavorare nel marketing di diverse aziende farmaceutiche e per due grandi marchi di moda.” Furono proprio esperienze come quelle fatte da Zegna e Gianfranco Ferrè che ispirarono e incoraggiarono il giovane Ampelio, fresco di matrimonio, a far rientro a Ostra Vetere per dar nuova vita all’azienda agricola di famiglia. “Erano mondi con una mentalità opposta alla nostra, lì ci si muoveva verso la qualità estetica. Così intuii le possibilità dell’enologia italiana. Feci qualche viaggio in Borgogna, dove facevano vini diversi dai nostri. Vini che mio padre definiva “del Padrone” perché profumati ed eleganti.”

Dai francesi Ampelio impara una regola aurea dell’enologia, quella che per ottenere vini di qualità sono necessari terreni di qualità. Si mette così alla ricerca delle zone collinari più ricche in calcare, le acquista e ci pianta le sue viti. “Tutti mi consigliavano di piantare Chardonnay, ma l’esperienza nel mondo della moda m’insegno che il segreto era creare qualcosa con uno stile che raccontasse il territorio. Sapevo che se avessi puntato su un vitigno internazionale non avrei avuto niente di nuovo da dire ai miei clienti.”

È il 1972 quando Ampelio pianta le sue vigne di Verdicchio. Sette piccoli appezzamenti sulle colline attorno a Ostra Vetere. Non era certo facile lavorare su un parco vigneti così parcellizzato ma quello che poteva sembrare l’ennesimo ostacolo si trasformò presto in un prezioso valore aggiunto grazie all’incontro con Giorgio Grai. “A quei tempi i sommelier non mi stavano molto simpatici, parlavano solo dei vini toscani. Così andai in Alto Adige, regione bianchista per eccellenza. Lì conobbi uno dei più grandi degustatori e assemblatori di vino di tutti i tempi. Iniziammo subito a lavorare assieme e lo facemmo fino a una settima prima della sua scomparsa. Giorgio m’insegno l’importanza di creare un prodotto con uno stile ben riconoscibile e qualitativamente costante negli anni.” 

Ognuna delle sette piccole vigne di Ampelio si trova infatti ad un’altitudine diversa e ha un’esposizione differente. Alcuni vigneti danno uve più cariche di zuccheri, altri esaltano più l’acidità e i profumi del Verdicchio. Variando così il blend di anno in anno, a seconda dell’andamento climatico, è stato possibile ottenere un prodotto sempre simile nel tempo. È esattamente lo stesso ragionamento alla base del successo delle prestigiose maison di Champagne francesi. 

“Sono sicuro che questa mentalità ci ha premiati nel tempo. Così come quella di aver recuperato le grandi botti storiche che oggi accolgono il Villa Bucci per 18 mesi prima dell’imbottigliamento. Sono in rovere di Slavonia ed erano già presenti quando acquistai quella che è oggi la nostra cantina negli anni ’70. Ormai sono come delle vecchie amiche. Sono fatte con le scuri e le loro doghe sono molto più spesse di quelle delle botti odierne. Sono completamente esauste e non cedono più alcun sapore ma al loro interno il vino si micro-ossigena e si stabilizza.” Sono come l’abbraccio di una madre al suo bambino subito dopo il parto praticamente e Ampelio le conosce tutte a memoria. Ci racconta l’ordine, la capienza e la storia di ognuna di loro con la stessa voce fiera e commossa con cui un padre racconterebbe i successi del figlio.

Concludiamo la nostra intervista chiedendogli come si sente ora che il suo Villa Bucci è stato nominato il miglior bianco al mondo. Ci risponde che è il coronamento di una carriera e che sarà uno stimolo in più per continuare a lavorare con ancor maggior precisione. Infine alludiamo a un possibile aumento di prezzo visto il prestigioso titolo e lui controbatte così: “sarebbe proprio una “troiata”. Forse il prezzo aumenterà un poco nei prossimi mesi per l’aumento dei costi e la difficoltà di reperimento di materie prime come vetro e cartoni ma non certo perché ci hanno premiati.Lo salutiamo sorridendo, chiedendoci cosa avrebbero scritto sul verdetto i giudici di Wine Enthusiast se avessero assaggiato una bottiglia di Villa Bucci con 20 o 30 anni di affinamento. Si perché questo vino non è un bianco normale ma un rosso vestito da bianco. Un nettare sempre in equilibrio fra mineralità, freschezza e struttura in grado di durare ed evolvere per decenni. Un vino che non si dimentica, così come colui che l’ha creato. Pura eleganza direbbe qualcuno.