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Ciccio Sultano a Ragusa Ibla: il racconto di un viaggio

di Alessandra Gesuelli • Pubblicato 25 Luglio 2022 Aggiornato 29 Luglio 2022 11:53

Siamo stati a Ragusa Ibla, da Ciccio Sultano, alla scoperta dei suoi progetti siciliani e non: ecco come è andata.

Ovunque ti giri c’è la bellezza di Ragusa Ibla. La pietra chiara porosa, i palazzi tardobarocchi sontuosi e un po’ délabré, i vicoli che nel saliscendi raccolgono il vento, e poi c’è lui, lo scenografico Duomo, che domina il cuore antico di Ragusa con la sua grande scalinata. È a questo che lo chef Ciccio Sultano si ispira ogni giorno quando entra nella cucina del suo Duomo, due Stelle Michelin dal 2006. A questa Sicilia generosa ed opulenta, meno nota di altre, più facili da raggiungere. Qui a Ragusa Ibla, Ciccio Sultano ha scritto e sta continuando a scrivere la storia della Sicilia gastronomica contemporanea. Una storia che oggi conta, oltre allo stellato, il bistrot I Banchi, sempre a Ragusa Ibla, con la panetteria e il negozio; e diverse aperture in Italia e nel mondo. Sultano è, infatti, il siciliano stellato più presente a livello internazionale. Siamo andati a trovarlo ed ecco quello che del suo mondo ci ha raccontato a cuore aperto.

Gli inizi

Caparbio, determinato, ambizioso, Ciccio Sultano non si è mai fermato. E tutt’ora punta a nuove aperture mentre disegna per il suo Duomo, un futuro di costante eccellenza che aggiunga la terza stella a una carriera lunga e soddisfacente. “A 13 anni e mezzo inizio a lavorare in pasticceria a Vittoria – racconta – Solo verso i 20 anni ho iniziato davvero nella cucina. Dal bar, alla cucina, alla pasticceria, facevo tutto. Il sabato e la domenica ero soprattutto bar. Ero curioso, diretto, non mi ponevo barriere. A 17 anni già sapevo che questo era il mio mestiere e mi ero formato, poi ho letto e studiato tanto da autodidatta. Già da ragazzino mi davo degli step da raggiungere uno dietro l’altro. Avevo come maestro chef, anche di vita, Vincenzo Corallo e sono stato felice poi di aver avuto a lavorare da me il figlio, Marco Corallo, oggi mio chef in Turchia, da 30 anni con me in giro per il mondo e per 15 anni anche qui al Duomo. Verso i 24-25 anni sono andato in Germania e da lì in America dove ho lavorato con Lidia Bastianich e ho conosciuto un giovane Joe. Siamo nella seconda metà degli anni 90 e a New York la cucina italiana vera piace tanto. Ricordo di aver fatto due conti, solo di ossobuco guadagnavano 39.000 dollari al mese. Senza vini e senza acqua. Capii come dovevo far funzionare un ristorante di successo e quanto era importante essere autonomo. Giurai a me stesso di tornare in Italia, e mi dissi: anche se apro una panineria non voglio più stare sotto altri. Volevo tornare qui, in Sicilia, e aprire un ristorante. Iniziai così il Duomo, a 29 anni, la mia Odissea. Poi Gambero Rosso mi premiò come migliore chef emergente di frontiera e allora rilanciai con altri investimenti per crescere. Entrai nella Guida Michelin nell’edizione del 2004, con la mia prima stella”.

Il successo e le due Stelle

Giovanissimo arriva la prima stella e cambia tutto. Il gioco si fa grande e importante. E lui, ancora una volta, raccoglie la sfida. “Devo essere sincero – confida – non sapevo l’entità del potere della Michelin nel momento in cui ho avuto la prima stella. Mi sono detto, ok ora faccio del mio meglio per conservare quanto ho ricevuto. Poi nel 2006 arriva la seconda stella. Sono esploso di gioia. In due anni due stelle. Una cosa unica, per la Sicilia e qui a Ragusa. Un risultato che ho saputo mantenere in tutti questi anni. Tanta stampa nazionale e internazionale ha dedicato intere pagine a me e al mio lavoro. E io continuo a farlo mantenendo la mia credibilità, la mia verità. Oggi voglio rilanciare di nuovo, non mi fermo. Continuo ad investire. Anche sul personale, che è per me primario. Spendo ogni anno 350.000 euro sulle risorse umane. Il mio team è molto importante. Intorno a me cerco i migliori collaboratori. L’ultimo rilevante acquisto in squadra è stato il pastry chef Fabrizio Fiorani”.

La sua Sicilia, continente gastronomico

Con le mie due stelle tanti colleghi hanno seguito in qualche modo il mio esempio, e hanno fatto un grande lavoro. Oggi la Sicilia ha un peso importante nel panorama nazionale. Tutti hanno contribuito. Certo il mio riconoscimento ha fatto da traino, ma loro stessi hanno con autonomia trovato una propria dimensione nel proprio territorio. Io sono un ricercatore e amo la storia della Sicilia e le tante culture che sono arrivate qui nei secoli. La Sicilia non è solo un’isola, ma un vero continente gastronomico, irreplicabile. E questo grazie al contributo delle tante culture che qui hanno vissuto. Non basta la vita di un cuoco per trasformarla in un ristorante. Sono questi i miei messaggi. E questa ricchezza la cerco anche nei produttori e fornitori che mi sono andato a cercare e di cui finanzio lo sviluppo imprenditoriale per avere qualità per la mia cucina ma anche per la mia terra. La sostenibilità ambientale è centrale nel mio lavoro. E poi il legame con la terra. Erbe, spezie, sapori e profumi. Qua la terra offre tanto, ci sono cresciuto. Si mangia con quello che c’è da sempre. La nostra povertà non è fame. Io su questo ho basato la mia cucina. Ma attenzione è chiaro che poi devi tradire la tradizione per innovare. Non faccio la cucina della mamma. C’è la mamma, ma resta sulla porta, diciamo. Dentro c’è una cucina che si rifà a una serie di contaminazioni. Inevitabili per un siciliano. Se oggi fai cucina siciliana devi stratificare, contaminare, ma anche pulire e snellire una cucina troppo opulenta. E a chi mi ha detto in passato, sei troppo barocco e poi continua a chiedermi le mie ricette classiche, come l’omaggio che feci con il timballo del Gattopardo, dico che c’è barocco e barocco, che puoi essere raffinato, ricco e nello stesso tempo contemporaneo. Siamo lo stellato più a Sud d’Italia. E non è sempre facile”.

I produttori

A fare una mappa dei produttori locali che Ciccio Sultano sostiene e da cui si rifornisce emerge un bel ritratto della Sicilia e di Ragusa. Prodotti che non usa solo al Duomo ma che si ritrovano, trattati in modo diverso anche ai Banchi (e che si possono anche acquistare nel negozio e nello shop online). La campagna ragusana è un grande amore per lo chef che sogna di aprire una fattoria ecosostenibile in un futuro prossimo. Iniziamo dai formaggi. La masseria di Alessandro Criscione, si trova nella contrada Camemi ed è operativa dal 1928. Da cinque generazioni, la famiglia di Alessandro con dedizione e grande attenzione alla qualità, porta avanti la produzione di ricotta e Cosacavaddu, formaggio a pasta filata tipico della zona, prodotto solo con latte, grande esperienza e manualità. La pasta e le farine sono fatte in casa, prodotte da Filippo Drago e Gerardo di Nola. Per la carne, gli allevamenti sono quelli all’aperto di Giuseppe Grasso nell’azienda Allevabio. Polli e uova vengono dalla realtà di Aia Gaia nella campagna di Ibla. Ortaggi, erbe aromatiche e fiori edibili sono di Villa Melina. Tonno rosso e pesce azzurro provengono dal progetto di pesca sostenibile, di promozione e di vendita di Testa Conserve, pescatori in Sicilia dal 1800. Una conserva fatta in olio extravergine che non si butta, ma può essere utilizzata per condire e fare delle salse. Per salumi e insaccati: il maiale nero dei Nebrodi di La Paisanella è il preferito. Infine le spezie sono firmate da Note di Spezie, e il miele è di Claudio Meli.

I Banchi

Fare l’imprenditore e lo chef non è facile. Ma Ciccio Sultano non rinuncia a crescere. Nasce così nel 2015 il progetto de I Banchi, oggi seguito con successo, determinazione e grazia elegante, da Gabriella Cicero, direttore generale del Gruppo, suo braccio destro al Duomo e compagna di vita. Un locale no-stop, sempre a Ibla, che è tante cose insieme: forno, pasticceria, bar, emporio, pizzeria, ristorante e cantina. Il nome deriva dai banchi del pane, sfornato fresco ogni giorno. Qui la cucina è guidata dal giovane Peppe Cannistrà. Sultano la definisce educata, una commistione delle diverse cucine siciliane dalla nobile a quella di strada. Una cucina siciliana autentica, contemporanea, solare e piena di sapore, che lavora bene con i fornitori ed è replicabile. Insomma da esportazione. Una filosofia ben identificata dal logo che unisce Olio, Sale e Grano. Recentemente, l’acquisto degli spazi ricavati al pianoterra del Palazzo La Rocca, ha portato alla nascita dello spazio dei Cantieri Sultano nello stesso edificio barocco che ospita il Ristorante. L’area operativa, è diventata di 610 mq, divisi tra il Ristorante vero e proprio, la suite Sultano, la casa per il personale, la cantina con le riserve speciali e la wine nursery.

In Italia e nel mondo

Nel frattempo i progetti in Italia e all’estero si moltiplicano. “A un certo punto ho sentito la necessità di allargarmi – racconta – Volevo essere qualcosa di più. Non volevo essere isolato. Essere il solito siciliano ancorato al cannolo, alla cassata e alla caponata. Cinque anni fa arriva la prima opportunità in Europa con il Pastamara all’ hotel Ritz Carlton di Vienna. Un impegno che ho preso con grande serietà. Non mi interessa avere tanti ristoranti in giro per il mondo. Li voglio pochi ma gestiti bene e di qualità. Non adatto il gusto ma, come dico io, faccio un inchino, mi connetto con i miei clienti sul posto. Ci sono molte proposte e le valuto con attenzione. Dopo il successo di Roma al nuovo hotel W con il Giano e la lounge, oggi guardo a Bodrum, in Turchia, con il locale Mamma Drau, e il ristorante che apriremo lì all’interno dell’hotel Kempinsky”.