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Le storie dei grandi chef: Gualtiero Marchesi

di Daniele De Sanctis • Pubblicato 1 Agosto 2016 Aggiornato 21 Settembre 2017 11:43

Gualtiero Marchesi è stato il primo chef italiano ad essere insignito delle tre stelle Michelin, un modernizzatore della cucina italiana e maestro.

Gualtiero Marchesi è nato a Milano nel 1930 da una famiglia di ristoratori di San Zenone al Po, nei pressi di Pavia. Nel dopoguerra inizia il suo percorso di studi a Lucerna e, rientrato in Italia, nel 1950 comincia a lavorare nell’albergo di famiglia. Gualtiero Marchesi si forma prima a Lucerna, poi a Milano e infine in Francia, per poi tornare a Milano e aprire il suo primo ristorante Assieme alla passione per la cucina Marchesi coltiva quelle per il disegno e la musica, ha fame di letture e di cultura in genere, tutti elementi che daranno vita al suo concetto di cucina. Negli stessi anni conosce la moglie, musicista, che lo ispirerà a trasportare i concetti musicali in cucina: “Smetto di suonare perché devo creare una cucina nuova, inconcepibile per il nostro paese; è ora di rivoluzionare le portate, la presentazione, la carta dei vini. Questo è un momento fondamentale, è la rivoluzione culinaria”. L’inquietudine del curioso lo spinge a chiudere il ristorante di famiglia per emigrare, a quarant’anni, sposato e padre di due figlie, in Francia. Quegli anni, a cavallo del ’68, saranno ancora un periodo di studio, in cui lavora prima dai fratelli Troisgros (i compari di Bocuse), poi al ristorante Ledoyen a Parigi e al Chapeau Rouge di Digione, che lo istruiranno alla nuova scuola di cucina francese, di lì a poco battezzata Nouvelle Cuisine. “Tornai a casa – ricorda Marchesi sempre nella sua autobiografia del 2010 – solo quando fui sicuro di aver imparato la semplicità”.

Agrodolce

Nel 1977 apre il suo ristorante milanese, conquistando lo stesso anno la prima stella Michelin, seguita dalla seconda l’anno successivo. A due anni dall’apertura i gastronomi Gault e Millau, nel corso di un’intervista al Time, lo annoverano tra i quindici ristoranti al mondo che preferiscono. Nel 1985 è il primo chef italiano ad essere insignito della terza stella Michelin. Nel 2008, sarà anche il primo, ma questa volta al mondo, a riconsegnarle tutte affermando: “Ciò che più m’indigna è che noi italiani siamo ancora così ingenui da affidare i successi dei nostri ristoranti – nonostante i passi da gigante che il settore ha fatto – a una guida francese. Che, lo scorso anno, come se niente fosse, ha riconosciuto il massimo punteggio a soli 5 ristoranti italiani, a fronte di 26 francesi. Se non è scandalo questo, che cos’è?” e aggiunge: “Quando, in giugno, polemizzai con la Michelin lo feci per dare un esempio, per mettere in guardia i giovani affinché capiscano che la passione per la cucina non può essere subordinata ai voti. So per certo, invece, che molti di loro si sacrificano e lavorano astrattamente per avere un stella. Non è né sano, né giusto».

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È stato rettore dell’ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana di Parma e nel giugno 2006 fonda la Italian Culinary Academy a New York. Il 19 Marzo del 2010, in occasione dei suoi ottant’anni, nasce la Fondazione Gualtiero Marchesi che ha come missione la diffusione del bello e del buono in tutte le arti, dalla musica alla pittura, dalla scultura alla cucina. Tra i suoi allievi più noti ci sono Mirella Porro, Enrico Crippa, Carlo Cracco, Antonio Ghilardi, Ernst Knam, Karsten Heidsick, Lucia Pavin, Alessandro Breda, Andrea Berton, Paola Budel, Pietro Leemann, Paolo Lopriore, Michel Magada, Vittorio Beltramelli, Marco SoldatiAntonio Poli, Davide Oldani.

L’insegnamento e la gastrosofia

Gualtiero Marchesi sia come chef che come maestro ha sempre promosso le arti, tutte, elevando anche quella del cuoco. Sostiene da sempre due principi: il primo che “La forma è materia“, e il secondo è il doveroso “rispetto del sapere”. Marchesi parte dai concetti base della gastrosofiaLa cucina di Marchesi si basa sula gastrosofia, la disciplina che vuole coniugare appetito, arte culinaria, buon cibo e il berela disciplina che si pone l’obiettivo di coniugare appetito, arte culinaria e piacere per il buon cibo ed il bere, facendoli suoi: la ricerca di ciò che di meglio offre l’arte del cucinare, il cibarsi e il bere non sono solo un modo di dar sostentamento al corpo, ma un godimento del palato e della mente, un piacere paragonabile all’erotismo e alla musica. “La cucina è intesa in funzione dell’emozione” dice lui, ispirando allievi e chiunque si avvicini al mestiere di chef. Nel testo La tavola imbandita (di Gualtiero Marchesi e Luca Vercelloni, Ed. Laterza, 2001) si possono trovare le dichiarazioni più forti del concetto Marchesi, la cucina viene considerata una melodia orchestrata, con una netta separazione tra cucina di gola, che con preparazioni golose e immediate indirizza i propri messaggi alla sfera affettiva ed emozionale e verso la quale il degustatore resta un destinatario passivo, vittima delle sollecitazioni sensoriali a cui è sottoposto e preso per la gola, e la cucina di testa, dove i piatti realizzati sono culturalmente più mediati e il coinvolgimento di chi assaggia il piatto risulta ragionato, attivato intellettualmente, al fine di raggiungere un piacere gastronomico completo, arricchiti di contenuti culturali sempre nuovi.

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Sempre nel libro prosegue poi con la suddivisione del procedimento, elaborato in tre fasi: la prima è quella concettuale-elaborativa, in cui il piatto viene ideato con la ricerca e la selezione degli ingredienti e delle tecniche di manipolazione e cottura; la seconda fase è quella dispositiva-manipolativa, dove vengono messi in atto le tecniche prescelte nella fase precedente per arrivare alla realizzazione del piatto, quindi operazioni come la manipolazione e la cottura; la terza e ultima fase è quella espositiva-dichiarativa che comprende tutti gli atti che accompagnano il piatto al consumo, senza escludere l’eventuale presenza del cuoco in sala per la sua illustrazione.

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Marchesi nella sua filosofia di cucina usa anche due metafore musicali per distinguere due diversi generi: la cucina timbrica e la cucina tonale. La cucina timbrica è quella moderna, quella che tende a far risaltare la voce, il colore del suono dei singoli ingredienti, in relazione ai differenti modi in cui sono elaborati, manipolati, cotti; una cucina che punta a separare e scomporre gli ingredienti, per offrirli alla degustazione senza confonderli, nel rigoroso rispetto delle caratteristiche organolettiche di ciascuno. Mediante la scomposizione, la cucina timbrica crea sensazioni differenziali, dove ogni singolo componente del piatto viene riconosciuto e goduto. La cucina tonale invece, è quella che mescola, avvicina, fonde i sapori dei vari ingredienti per creare una amalgama dove ogni componente cede al tutto, col fine di arrivare ad ottenere un solo unico sapore, come accade in un’orchestra sinfonica attraverso le partiture dei diversi strumenti. Da quando esiste l’alta cucina i cuochi si sono dedicati a perfezionare tecniche e accorgimenti per la decorazione e la disposizione dei cibi in tavola. Dai banchetti rinascimentali ai trionfi della “grande cuisine” ottocentesca, dal lancio della cucina internazionale alla diffusione della fotografia gastronomica e all’invenzione della nouvelle cuisine.

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La sua cucina Marchesi la definisce Totale “perché la cucina è cibo, ma anche e soprattutto imbandigione, la capacità cioè di curare la messa in scena della materia. Naturalmente, più ci si avvicina alla verità della materia, al gusto, rispettandone le sfumature, più la forma tende a scomparire, non perché si assenti, ma perché si fonde nella pietanza”. Un esempio lampante sono le sue due famose costolette di agnello, presentate come due parentesi o due orecchie in ascolto sul piatto. Questa tecnica vale a dire eliminare tutto ciò che è superfluo, restituendo alla materia l’essenza della forma e alla forma la sua origine naturale. Conoscenze e abilità che rischiano di essere dimenticate di fronte ad una ristorazione troppo concentrata sul piatto bello e pronto. Un piatto va letto come uno spartito, nota per nota, ingrediente per ingrediente e come la musica si regge sul contrasto di sapore e consistenza, unica via per raggiungere l’armonia. Proprio secondo questa filosofia due dei suoi piatti più celebri sono certamente il raviolo aperto e il risotto oro e zafferano, che rispecchiano completamente questo ideale di cucina totale.