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Miti da sfatare: il caffè decaffeinato fa male?

di Silvia Cutolo • Pubblicato 26 Ottobre 2019 Aggiornato 6 Maggio 2020 10:34

Molti preferiscono il proprio caffè decaffeinato, ma quali sono i rischi o i danni che il deca fa alla salute? Ve lo spieghiamo punto per punto.

Il caffè decaffeinato nasce all’inizio del Novecento grazie a Ludwig Roselius che mise in commercio il primo caffè decaffeinato con il nome di caffè HAG. È un caffè letteralmente privato della caffeina, una percentuale minima di caffeina rimane sempre l’alcaloide con effetti stimolanti sul sistema nervoso sconsigliato in alcune categorie di persone (ipertesi, ansiosi, cardiopatidci, donne in gravidanza e allattamento). Il caffè decaffeinato per legge deve contenere meno dello 0,1% di caffeina, vale a dire circa 3 mg a tazzina, contro i 75 mg contenuti in un espresso della varietà Arabica (povera di caffeina per natura), i circa 100 mg forniti da una tazzina di miscela Robusta e i ben 150 mg di un caffè lungo in tazza.  L’assunzione di decaffeinato è stata messa in discussione a causa dei metodi industriali impiegati per eliminare la sostanza stimolante. Le tecniche per ridurre la presenza di questo alcaloide, praticate sempre prima della torrefazione dei chicchi, si differenziano tra loro soprattutto per le sostanze impiegate. Le principali tecniche sono:

Metodo con il diclorometano

Le teorie secondo le quali il caffè decaffeinato faccia male puntano l’indice soprattutto contro questo metodo, essendo il diclorometano ritenuto cancerogeno per l’uomo. Pertanto l’impiego di questo solvente organico, talvolta rimpiazzato da acetato di etile, sostanza con caratteristiche simili, è in fase di declino, perché attualmente si prediligono procedimenti ritenuti più sicuri sul piano della salute. Questo sistema prevede un bagno in acqua per favorire l’aumento di volume dei chicchi, seguito da una sorta di lavaggio con diclorometano, per privare i chicchi dalla caffeina senza alterare significativamente gli aromi.

Il metodo ad acqua

I grani di caffè verde sono immersi in acqua riscaldata, che è poi filtrata con carboni attivi, per bloccare la caffeina lasciando permeare le altre sostanze. Fra i tre metodi, questo è probabilmente il più semplice, ma anche il più invasivo. L’acqua calda, infatti, abbatte significativamente la ricchezza organolettica del caffè, dilavando anche le sostanze aromatiche e danneggiando i chicchi.

Metodo ad anidride carbonica

Si tratta certamente del metodo più complesso, che necessita di impianti particolari e livelli di pressione molto elevati. Attualmente, tuttavia, questo è anche il sistema nettamente più diffuso. Il processo inizia con un trattamento a vapore dei chicchi, che raggiungono un tasso di umidità del 30-50%. Successivamente, i grani sono inseriti in un cilindro di estrazione, dove sono trattati con la CO2 in stato supercritico, condizione per la quale sono necessari specifici livelli di pressione e temperatura. L’anidride carbonica estrae la caffeina selettivamente, riuscendo a diffondersi come un gas e mantenendo le proprietà solventi dei liquidi. La caffeina, in seguito, è purificata e impiegata nell’industria chimica, alimentare e farmaceutica. Il caffè decaffeinato, alla fine del trattamento, è essiccato. I vantaggi sono notevoli: non si impiegano solventi e gli aromi originari del caffè non subiscono danni rilevanti.

Attenzione alla caffeina residua

Nelle confezioni di caffè decaffeinato talvolta non è indicato il procedimento estrattivo. Chi è particolarmente sensibile o intollerante alla caffeina dovrebbe fare a meno anche del deca, che comunque non è totalmente privo della sostanza: anche le minime quantità di caffeina contenute sono infatti sufficienti a provocare tutte le controindicazioni che si hanno a dosaggi superiori. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) fissa entro i 400 milligrammi giornalieri la dose di caffeina non dannosa per gli individui sani. Si tratta di una quantità che corrisponde indicativamente a 4-5 tazzine di espresso. Anche se il caffè decaffeinato non fa male, l’uso della bevanda non deve essere esagerato. Il ridottissimo contenuto di caffeina non va considerato come un via libera totale. Le tazzine quotidiane di deca, quindi, non dovrebbero superare i limiti validi per il caffè tradizionale.

Sostanze dannose: acrilammide

Parlando di rischi per la salute il focus va fatto sulla formazione di acrilammide: la torrefazione del caffè origina una serie di prodotti della carbonizzazione che, in eccesso, possono nuocere alla salute. una sostanza che si sviluppa durante la torrefazione Lo stesso metodo che permette al caffè di guadagnare profumi e sapori, alla base dei quali ci sono le reazioni di Maillard, è responsabile dell’accumulo di composti indesiderati. Il più abbondante e temuto è senz’altro l’acrilammide. Questa ammide dell’acido acrilico si forma durante i trattamenti termici eccessivamente intensi e prolungati (si può formare anche con la frittura, durante a cottura del pane o con la cottura alla griglia). Troppa acrilammide nella dieta è correlata a tossicità per il sistema nervoso e riproduttivo ed all’aumento dell’incidenza di tumori per tutti i tessuti con i quali entra in contatto. A tal riguardo, il caffè decaffeinato nuoce alla salute tanto quanto quello normale. Infine non dimentichiamo che togliere la caffeina significa anche perdere alcune proprietà positive del caffè legate proprio alla caffeina (effetto energetico, lipolitico e anoressizante).