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Dal chicco al confezionamento: visita a uno stabilimento di caffè

di Carlotta Mariani 9 Giugno 2022 12:00

Abbiamo visitato un’azienda del Consorzio Promozione del Caffè. Ecco che cosa abbiamo imparato durante la visita.

Vi siete mai fermati a pensare che cosa c’è dietro la tazzina di caffè che beviamo tutti i giorni? Vi siete mai chiesti come sia possibile che questa bevanda sia una eccellenza del Made in Italy pur non producendola, a differenza del vino? La cosa migliore per rispondere a tutte queste domande è avere la possibilità di visitare uno stabilimento di caffè. Noi lo abbiamo fatto andando a vedere il lavoro dell’azienda Coind di Bologna grazie al Consorzio Promozione Caffè, che da più di 30 anni promuove la cultura del caffè e l’intero settore, e ora vi raccontiamo tutti i passaggi, dal chicco al confezionamento, e dove troviamo il valore aggiunto dato dai nostri professionisti perché, come ha sottolineato Luca Cioffi, Ceo di Coind, in Italia “non ci limitiamo alla mera trasformazione di una derrata agricola ma sappiamo dargli qualcosa di più“. La qualità di un caffè dipende infatti da caratteristiche fisiche, chimiche, sensoriali, igienico-sanitarie, dall’annata del raccolto, ma anche dai processi di lavorazione.

Da dove vengono i chicchi?

Tutto nasce da qui, dai chicchi di caffè ovvero i semi racchiusi nel frutto della pianta del caffè, un sempreverde della famiglia delle Rubiàcee, genere Coffea. Tra le 124 specie di questo genere, le più conosciute e diffuse sono l’arabica (Coffea arabica) e la robusta (Coffea canephora). Nomi che sicuramente avrete già sentito. Queste piante crescono tra il tropico del Cancro e il tropico del Capricorno, la cosiddetta coffee belt. Si tratta quindi di varietà tropicali e i principali Paesi produttori sono Brasile, Vietnam, Colombia e Indonesia. Da qui, inizia il viaggio che porterà alla creazione di un liquido inebriante, un viaggio in cui noi italiani abbiamo un ruolo da protagonisti e il mercato ce lo riconosce sempre di più. Pensate che, secondo le stime elaborate dal Comitato Italiano del Caffè sulla base dei dati Istat, nel 2021 le esportazioni di caffè torrefatto italiano hanno segnato un +13,2%.

Acquisto della materia prima

Non basta ricavare i semi e metterli in acqua per ottenere un buon caffè. Questi devono essere selezionati, tostati e miscelati, soprattutto se si parla di espresso italiano. Pensate che l’azienda bolognese Coind ha più di 80 ricette di miscele per rispondere alle varie esigenze della clientela. Alcune hanno la stessa composizione, ovvero le stesse percentuali di arabica e robusta, ma cambiano le tostature facendo sì che nella tazzina possiamo degustare una bevanda diversa. Tutti questi elementi, infatti, sono fondamentali per determinare il gusto e il carattere di un caffè ed è importante offrire una qualità e un equilibrio di sapori costante di anno in anno.

Come procede allora la filiera? In Coind ci hanno spiegato che si valuta un campione di caffè verde (non tostato). Si chiama campione di pre-acquisto. Il controllo è massimo per cui anche dopo l’acquisto, il campione di pre-acquisto viene confrontato con un secondo campione all’arrivo in porto (generalmente quello di Genova o Trieste) e con un terzo quando arriva in azienda. Qui il caffè viene stoccato per provenienza e spostato solo al momento della tostatura. Durante tutto il processo i chicchi vengono sottoposti a sistemi di macro e micro pulizia per garantire un prodotto perfetto.

Tostatura

Questa è una procedura essenziale per dare ai chicchi di caffè il profilo organolettico e aromatico che contraddistingue ogni miscela. Pensate che con la tostatura si sviluppano ben oltre 800 componenti di aroma. In Coind vengono usate due macchine diverse, una tostatrice a tamburo (più lenta) e una ad aria calda (più veloce). Perché? Perché in questo modo si ottengono chicchi caratterizzati da diversi profili aromatici. Da una stanza chiamata control room gli operatori verificano sui monitor le curve di temperatura e di tempo secondo la miscela che si vuole produrre. Inoltre controllano che ogni bench di caffè venga tostato allo stesso modo e quindi abbia determinate caratteristiche organolettiche.

Miscelazione

Le ricette delle varie miscele nascono per soddisfare le richieste del consumatore, ma possono rappresentare anche una tradizione e un territorio. Pensate, semplicemente, a come cambia il sapore del caffè (e pure la quantità in tazzina) dal Veneto alla Sicilia. Come abbiamo accennato, ne esistono tante ed è importante che, di anno in anno, le caratteristiche sensoriali di ognuna rimanga costante. Gli aromi di un caffè infatti, come ogni prodotto agricolo, possono variare a seconda del raccolto, delle variazioni climatiche, ecc. Vi sarà facile e immediato fare il confronto con il mondo del vino e pensare come varia il sapore in base all’annata, al fatto che ci sia stata un’estate calda e secca e così via. L’abilità di un torrefattore sta quindi anche nel saper bilanciare regolarmente i diversi tipi di caffè (le cosiddette origini) per offrire sempre una determinata qualità e identità. Altro campo della filiera del caffè in cui i nostri professionisti fanno la differenza.

Stagionatura

A questo punto i chicchi hanno bisogno di un periodo di riposo (1 – 10 giorni) per rilasciare l’anidride carbonica che si è formata al loro interno. Ci sarà poi un ulteriore degasaggio dopo la macinatura. Se per esempio trovate una confezione di caffè sgonfia potrebbe essere che i chicchi non avessero espulso tutta l’anidride carbonica prima del confezionamento e il gas abbia forzato la saldatura compromettendo la giusta conservazione e la qualità del prodotto.

Macinatura

Dopo questa fase il caffè può essere confezionato in grani, in particolar modo per la distribuzione nei bar, oppure i chicchi possono essere polverizzati. Questo è importante per aumentare la superficie di contatto tra il caffè e l’acqua in modo da favorire l’estrazione della bevanda. Il grado della macinatura (fine, media, grossa) modifica infatti la velocità dell’estrazione e quindi le caratteristiche della bevanda finale. Come si sceglie? A seconda del metodo di estrazione. La macinatura fine è indicata per il caffè espresso che deve ottenere il massimo in pochi secondi. La media è consigliata per la moka mentre quella grossolana per il caffè filtro o caffè all’americana (da non confondere con il caffè americano). Anche questa fase è importante e delicata. Durante la visita a Coind ci hanno fatto notare che i rulli utilizzati sono refrigerati in modo che non ci sia scambio termico tra questi e i chicchi. Ci sarà infatti capitato anche noi in casa, magari con il pesto, di capire come il calore possa rovinare il risultato finale.

Confezionamento e conservazione

Eccoci arrivati all’ultima fase. Dopo di che il caffè è pronto per essere distribuito e arrivare nelle nostre case. A Coind ci hanno rivelato che oggi c’è grande richiesta di capsule, ma vengono prodotte anche cialde o confezioni di polvere di caffè. Tra l’altro, l’Italia è leader mondiale per le macchine di confezionamento del caffè e nell’azienda bolognese hanno un impianto realizzato da un’altra importante realtà locale, Ima, in grado di produrre 450 capsule al minuto. L’importante non è poi solo scegliere un prodotto di qualità, ma anche conservarlo correttamente. Come? Una volta aperta, la confezione deve essere mantenuta in un luogo fresco, buio e asciutto. Certo, anche la preparazione è fondamentale per esaltare il lavoro di tutta la filiera ma questa è un’altra affascinante storia. Vi ricordiamo solo che se al tavolo o al bancone vi servono una tazzina con la schiuma di color marrone e il bottone bianco o un buco nero al centro vuol dire che il vostro caffè è sovraestratto e risulterà al palato forte, amaro e astringente.