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Vale la pena bere birra analcolica? Kuaska risponde

di Alessandra Di Dio • Pubblicato 27 Gennaio 2016 Aggiornato 17 Giugno 2021 13:20

Come si producono le birre analcoliche? Quali vale la pena bere? Abbiamo chiesto al maggior esperto italiano di birre, Lorenzo Kuaska Dabove.

In Italia per legge (vedi: Disciplina igienica della produzione e del commercio della birra, del 16 agosto 1962 n. 1354) le birre analcoliche sono quei prodotti con “grado Plato non inferiore a 3 e non superiore a 8 e con titolo alcolometrico volumico non superiore a 1,2%“. Sfatiamo, quindi, già in partenza uno dei miti più assodati: le birre analcoliche contengono alcol, seppur in minima quantità. le birre analcoliche contengono comunque alcol, seppure in minima quantità, ma non sono molto diffuse nell'ambito delle birre artigianali italiane Non si parla di session beer, che hanno un tantino di alcol in più, arrivando fino a 4,5 % circa, ma rispetto a quanto dice il nome aspettatevi una sorpresa. Ammetto di non aver mai bevuto una birra analcolica in tutta la mia vita: in quanto appassionata di birre di carattere, non avevo mai trovato un’analcolica che ne avesse. In genere, sono i grandi marchi che producono birre industriali a interessarsi, più dei nostri artigiani birrai, a questo settore che negli ultimi anni ha presentato dei margini di crescita molto ampi. Giusto per fare un esempio, gli Stati Uniti, dove la birra analcolica è più analcolica che in Italia (cioè, non deve superare lo 0,4%) ed è molto più popolare, l’agenzia internazionale Euromonitor ha stimato che le vendite sono passate dai 3.36 miliardi di dollari del 2008 ai 5 miliardi del 2013 e si prevede che entro il 2018 aumenteranno fino a 6.5 miliardi. In Italia, invece, dove l’alcol non è demonizzato come in altri paesi, rappresentando quasi una abitudine quotidiana (vedi il bicchiere di vino rosso a tavola) i numeri potrebbero essere molti diversi. Ma c’è qualcuno che fa birre analcoliche buone in Italia? Lo abbiamo chiesto a chi di birra ne ha fatto una ragione di vita: Lorenzo Dabove in arte Kuaska.

Kuaska

Avvertenza: per chi non lo sapesse, per Lorenzo Dabove “La birra non esiste. Esistono le birre“. Ecco perché durante l’intervista mi sono rivolta a lui usando questa parola solo al plurale anche perché lui stesso afferma nel suo libro (uscito a novembre 2015 per i tipi di Altreconomia) “Non risponderò mai a una domanda in cui c’è la parola birra, al singolare“.

L’alcol nelle birre è una componente importante, anche se è vero, come dice l’esperto Michael Jackson, che l’alcolicità spesso è assunta in modo fuorviante come la caratteristica fondamentale di una birra. Secondo te, è giusto considerare le birre analcoliche birre?
Certamente! Basta indicare e specificare la loro caratteristica.

Sono sempre la stessa identica bevanda?
L’affermazione del mio carissimo amico Teo Musso che una birra industriale e una artigianale siano la stessa unica bevanda mi trova assolutamente discorde in quanto io, come si sa, reputo birre solo quelle artigianali. Quindi, ora posso tranquillamente rispondere che una birra analcolica e una non analcolica possano essere incluse nella generica categoria delle birre.

Detto questo, è giusto farle concorrere all’interno delle competizioni che vedono partecipare anche birre alcoliche?
Non vedo il problema, esiste la loro apposita categoria denominata non-alcoholic (beer) malt beverage sdoganata dall’autorevole Brewers Association che la inserisce nelle Beer Style Guidelines stilate da una personalità come Charlie Papazian.

kuaska WBC
san diego world beer cup (2004)

Nel tuo libro racconti la tua prima volta come giudice, proprio in questa categoria. Che cosa ci puoi dire di questa esperienza?
È vero, paradossalmente la mia prima volta come giudice nella World Beer Cup (San Diego, aprile 2004) fu proprio con questo stile negletto ed abiurato da tutti. Ricordo che arrivai in anticipo al tavolo assegnato ancora incredulo di dover giudicare birre analcoliche. Ripetevo nella mia mente “Ma come, proprio io, il Principe del Pajottenland, degustatore e giudice già con buona fama e reputazione, dovevo valutare quelle schifezze a nove ore di fuso orario da casa?” Non sapevo chi fossero i miei compagni di sventura ma quando vidi sedersi al mio tavolo personaggi del calibro del fiammingo Peter Bouckaert (ex Rodenbach e grande birraio di New Belgium nel Colorado) e degli americani David Logsdon (direttore della Wyeast nell’Oregon) e Garrett Oliver (primadonna e birraio della Brooklyn) coi quali avevo già fatto eventi Italia, mi rassicurai e ipotizzai che, per tirar fuori qualcosa da quelle bibite, avessero pensato a gente in gamba. Ipotesi che fu poi avvalorata e confermata dall’arrivo del mio Maestro Michael Jackson che mi riempì di gioia e di orgoglio. Fu un lavoro duro ma alla fine ci trovammo concordi nell’assegnazione delle medaglie, premiando quelle birre che fossero se non più vicine almeno meno lontane da una birra alcolica. Per la cronaca, vinse la Clausthaler, una birra industriale come era prevedibile e forse giusto.

Qual è il procedimento per ottenere birre analcoliche? In cosa è diverso da quelle alcoliche?
Non sono un birraio ma sapevo di due metodi che ho poi riscontrato in un testo pubblicato dal caro amico Marco Tripisciano nel suo puntuale e divulgativo sito Mondobirra dal quale estrapolo una frase che può darci una risposta che serva da stimolo a voler approfondire l’argomento. Esistono due metodi per produrre la birra analcolica. Il primo sfrutta una tecnologia in grado di rimuovere l’alcol dal prodotto finito, di solito una comune lager. Il secondo e più diffuso consiste nell’interrompere la fermentazione non appena la birra raggiunge il tasso alcolico desiderato. La legge italiana prevede per le birre analcoliche un massimo di 8 gradi Plato, pari a circa all’ 1,2%. Negli Stati Uniti l’alcolicità non deve superare lo 0,4% e in Gran Bretagna addirittura lo 0,05%.

drinking in the sun

Esistono birre analcoliche artigianali in Italia? E all’estero? Chi sono i produttori (e i migliori produttori?)
Che io sappia, da noi, le uniche analcoliche che vedo nei bar, autogrill, supermarket e discount sono quelle delle multinazionali a prezzi molto bassi tipo 1 euro per 66 cl. Ho spulciato l’imprescindibile sito microbirifici.org, ma non ne ho trovate. In realtà, all’estero abbiamo almeno due birre di gran carattere sotto la soglia dell’ABV (alcohol by volume) dello 0,5. Non casualmente sono prodotte da birrai provocatori e iconoclasti, come gli scozzesi Brewdog e il danese Mikkeller. I primi hanno stupito tutti con la loro Nanny State di soli 0,5 gradi alcolici con una quantità tale di luppoli aromatici da poterla avvicinare a una tisana curativa amara. Fu creata dai due ragazzi terribili come reazione alla stretta sul consumo di alcolici nel Regno Unito. Per, ironicamente, ringraziare lo Stato per aver pensato alla salute dei suoi cittadini, inventarono una birra amarissima ma praticamente senza alcool chiamandola Nanny State, cioè Stato balia. Il secondo, invece, nella sua sterminata gamma di oltre 800 birre, ne ha inserita una leggerissima, solo 0,3% di alcol, dall’attraente e illuminante nome Drinkin’ in the Sun.

Cosa ne pensi delle birre analcoliche? Hanno un margine di crescita nel nostro paese?
Secondo me, se qualcuno dei nostri artigiani mettesse a punto un birra analcolica di carattere, personalità e soprattutto identità, potrebbe far partire una nuova tendenza, utile anche in tema di salvapatente e appagante per chi, appassionato di birre, causa problemi di salute, non potesse bere alcolici.

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