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3 bottiglie per il riscatto della Falanghina

di Alessio Pietrobattista 7 Gennaio 2016 12:04

3 bottiglie di Falanghina che davvero vale la pena assaggiare? Scopritele qui.

Cosa c’è di più nazional-popolare della Falanghina? Nei ristoranti di pesce, soprattutto a Roma, è una delle prime opzioni che l’oste (o chi per lui) propone al cliente che rifiuta lo sfuso dei Castelli. È la bottiglia buona ma dal prezzo ragionevole – che poi alla fine, a ben vedere, non lo è – per chi vuole avere un vino in vetro sul tavolo al posto della brocca, una tipologia che se la batte in termini di diffusione con il Vermentino nei ristoranti finto-sardo in cui il salmone (tipico dei corsi d’acqua isolani, giusto?) o il risotto alla crema di scampi (classico della cucina regionale, giusto?) la fanno da padrone.

Falanghina

La fatidica espressione “Dotto’, je porto ‘na bella Falanghina?”, ha sì portato ad una grande diffusione e notorietà del vino (e del vitigno conseguentemente) ma ne ha anche decretato la condanna: è diventato, nell’immaginario di molti, sinonimo di qualità bassa e vini dimenticabili, da bere immediatamente pena una inesorabile e precoce ossidazione. Scardinare anni di convinzioni ferree tanto diffuse è stato e sarà arduo, comprese le mie che hanno cominciato a vacillare solo in questi anni di frequentazioni campane, per guide e per piacere. In che modo? Assaggiando e incuriosendomi di fronte ai vini di tante piccole aziende che ho imparato a conoscere, apprezzare e seguire nel tempo. La Falanghina è capace di grandi espressioni territoriali, fuori dallo stereotipo del tutti frutti alla banana e tropical, di differenze interpretative che non possono non incuriosire.

Falanghina

Tutto ciò è stato confermato da un terzetto di aziende, e relative bottiglie, che ha in alcuni casi lasciato a bocca aperta me e gli amici presenti, anch’essi spesso ancorati ai miei stessi stereotipi del passato.
Stupirsi di fronte alla longevità e alla complessità di uno Chablis, di un Sancerre o, per tornare in Italia, di un Verdicchio o di un Fiano di Avellino è facile, farlo con un vino che molti, erroneamente, associano automaticamente al Supermercato o ai grandissimi numeri è ben diverso.
“Dotto’, je porto ‘na bella Falanghina?”
“Sì ma se è una di queste tre è meglio”

Falanghina Del Sannio Sant’Agata dei Goti DOC Mustilli

Mustilli

La storica azienda di Paola e Anna Chiara Mustilli è stata una delle prime in Campania a credere nelle potenzialità della Falanghina, la prima a discostarsi da un certo modo di produrre e proporre questo vino. Grazie alla lungimiranza di papà Leonardo e alla voglia di emergere dal mare magnum di vini sfusi, l’azienda è riuscita a far capire quanto la Falanghina meritasse un ruolo da solista e non da umile comprimario. Tanto da spingere Leonardo stesso ad accantonare sin dalla prima annata un buon numero di bottiglie nelle splendide cantine dell’azienda, credendo nel loro potenziale di invecchiamento e evoluzione. Caratteristica di questo vino: acidità, freschezza, bella polpa, grande longevità. Vedere per credere le facce sbigottite scorrendo le loro vecchie annate fino alla 1979, tra cui spiccano indelebili nei miei ricordi la 1990 e la 2002. La prima tutta potenza e classe, impressionante per tensione gustativa e tridimensionalità del sorso, integra all’olfatto tra frutto giallo e note balsamiche di menta e anice, la più giovane (si fa per dire) soffusa ed elegante, alsaziana nei rimandi speziati con lo zafferano e l’albicocca in primo piano, struttura affusolata e sottile.  Lungimiranza, savoir-faire e terroir per sfuggire dagli stereotipi: missione compiuta.

Falanghina Dei Campi Flegrei DOC Cruna DeLago La Sibilla

Cruna del Lago

Assaggiai i vini di questa azienda la prima volta nel 2010 e subito mi fu chiaro come, a fronte di un’annata tutt’altro che semplice come la 2009, ci fossero idee e intuizioni di una mente giovane e dinamica. Conferma avuta conoscendo Vincenzo Di Meo, enologo quasi trentenne dell’azienda di famiglia che da ben cinque generazioni produce vini a Bacoli. Un territorio particolarissimo, probabilmente unico: viti a piede franco (possibili grazie al terreno di matrice vulcanica che non permette alla fillossera di attecchire), mare di fronte e alle spalle e una falda acquifera di acqua termale salata a 23 metri di profondità. In una situazione pedoclimatica del genere cosa ci si potrebbe aspettare se non una grande sapidità nei loro vini? La Cruna deLago è il loro Cru, la loro selezione, ma non è assolutamente da tralasciare il loro vino base, un grande rapporto tra qualità e prezzo. Senza citare le ultime annate (eccellenti le 2013), il colpo di fulmine è assaggiare oggi versioni come la 2009, la 2008 e la 2007 del Cruna deLago. Diverse tra loro, specchio fedele del clima e della vigna, con un plauso proprio per la 2009, luminosa ed elegante, dallo sviluppo gustativo orizzontale e ricco di carica sapida. Una Falanghina in doppio petto.

Falerno del Massico Bianco DOC Anthologia Masseria Felicia

Falerno del Massico Bianco DOC Anthologia Masseria Felicia

Abbiamo già parlato dell’azienda della famiglia Brini, parlando dei loro rossi e della capacità di sfidare il tempo anche nella loro versione di base. La medesima cura da parte di Felicia e l’enologo Vincenzo Mercurio è rivolta alla versione bianchista della DOC, con risultati davvero convincenti: una via di mezzo tra i due territori di riferimento del vitigno, riuscendo a coniugare la potenza del beneventano con la spinta sapida flegrea. Due le versioni: la Sinopea, un base fresco e sbarazzino, classico vino capace di coniugare un prezzo invitante con una grande facilità di beva, e l’Anthologia, la selezione, la versione più importante e strutturata. Proprio l’Anthologia messa alla prova del tempo riesce a regalare belle sorprese, ultima in ordine temporale una splendida 2009: un mix di arancia, cannella, curry, un sottofondo dolce e avvolgente di nocciola e albicocca, hanno regalato un vino che ha saputo reggere il confronto con ben più quotati (e giovani) compagni di tavola. Accoglienza olfattiva che troviamo anche nel sorso, ampio e orizzontale, tutto sapidità e frutta. Un vino colto in fase di massima espressività che dimostra come la Falanghina riesca a trasmettere le caratteristiche di un territorio lontano dai due maggiori poli produttivi (Sannio e Campi Flegrei) riuscendo al tempo stesso a sfidare il tempo in maniera convincente. Questi sono solo ovviamente tre soli esempi ma ne avrei potuto citare molte altre aziende che lavorano cercando di valorizzare il vitigno e il territorio: Terre Stregate, La Rivolta e Cautiero per il Sannio, Astroni, Contrada Salandra e Agnanum per i Campi Flegrei, i Cacciagalli per Caserta e dintorni.

Falanghina

In conclusione, la Falanghina non può e non deve rinunciare alle proprie caratteristiche di bevibilità e immediatezza: sì quindi agli esperimenti, alle micro-vinificazioni, alle selezione ma sempre tenendo presente il vitigno e i suoi tratti salienti, evitando inutili orpelli che non fanno altro che rendere goffi questi tentativi. Solo così si potranno ottenere vini di carattere e anche buona longevità.  D’altronde anche per Agatha Christie dopo tre indizi se ne ha la prova.

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