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Beer firm: sì o no? Lorenzo Kuaska Dabove risponde

di Chiara Patrizia De Francisci • Pubblicato 5 Settembre 2014 Aggiornato 22 Settembre 2014 14:20

Il fenomeno delle beer firm è sempre più diffuso e spesso si riaccende la polemica tra favorevoli e contrari. Abbiamo chiesto chiarimenti a Kuaska.

La birra artigianale italiana ha appena compiuto 18 anni, una maggiore età festeggiata degnamente pochi giorni fa all’Open Baladin Fest a Torino. Proprio in occasione di questo evento si sono poste alcune domande sul futuro del settore e sui cambiamenti a cui è andata incontro la birra viva negli ultimi anni. Una discussione in ambito birrario che si è riaperta di recente è quella sulle beer firm, figure di difficile definizione nel campo della produzione di birra che si stanno diffondendo sempre di più in Italia e all’estero. Per fare chiarezza sull’argomento abbiamo chiesto lumi a uno dei personaggi mitologici della società brassicola italiana, Lorenzo Kuaska Dabove, degustatore dall’esperienza trentennale e divulgatore capace di appassionare all’istante.

Kuaska
kuaska all’open baladin fest

Cosa sono esattamente le beer firm?
Non è una definizione facile da trovare, forse non è ancora nemmeno codificata del tutto. Possiamo dire che le beer firm sono figure che producono birre all’interno di impianti non di proprietà. In questo senso è più facile definire il prodotto (la birra realizzata in birrifici altrui) che non il soggetto. Vanno distinte dalle collaborazioni, perché queste avvengono tra birrifici, come ad esempio è successo tra Leonardo Di Vincenzo di Birra del Borgo e Sam Calagione del birrificio statunitense Dogfish Head“.

Non tutte le beer firm sono condotte allo stesso modo, però.
Bisogna fare una distinzione fondamentale tra due tipologie: esistono beer firm in cui l’appassionato senza la possibilità (oppure a volte anche la volontà, ci tengo a sottolinearlo) di avere un proprio impianto affitta quello di un birrificio già avviato e produce di persona la birra con la sua ricetta, seguendone il processo passo dopo passo; altre beer firm invece lasciano al proprietario dell’impianto il compito di produrre la birra con la propria ricetta, occupandosi poi della commercializzazione e del lato grafico legato alla bottiglia e all’etichetta. Spesso le beer firm del primo tipo, che seguono la produzione delle loro birre in toto, sono sul punto di acquistare un impianto oppure attendono condizioni più favorevoli per farlo“.

impianto per la birra
impianto per la produzione della birra

C’è una polemica in corso tra chi è a favore di queste figure e chi invece è contro: qual è la posizione di chi sostiene le beer firm?
Per i sostenitori una beer firm, per quanto diversa da un birrificio, rispetta comunque la sostanza della birra artigianale, a partire dalla passione alla cura per la materia prima, fino all’indipendenza dalla grande distribuzione. Un birraio competente che per motivi economici non ha la possibilità di acquistare un impianto ma che vuole realizzare i suoi prodotti, può quindi rivolgersi a un buon birrificio in cui un birraio altrettanto capace collaborerà con lui: la birra che nasce da un progetto valido è spesso un buon prodotto. I birrai improvvisati, spinti soltanto dalla voglia di cavalcare l’onda dell’interesse crescente rivolto alla produzione artigianale, realizzeranno birre spesso inutili. Questo discorso, tra l’altro, si può estendere anche ai birrifici con impianto di proprietà“.

Chi demonizza questa modalità di produzione della birra artigianale perché lo fa?
Per loro è anche una questione di orgoglio e responsabilità. Il birrificio dotato di impianto ci mette l’anima, ci mette tutto: si fa carico dei problemi, della parte relativa alla creazione, dei rischi; il birraio investe nella sua opera, studia, sperimenta, cresce. In questo caso la beer firm viene vista come qualcosa di campato per aria, una scorciatoia di persone poco competenti pronte a sfruttare il successo della birra artigianale, magari proponendo stili modaioli come IPA e APA. L’opinione di chi è contro è che un birraio davvero motivato e preparato farà di tutto per investire in un impianto di proprietà; chi invece si affida alla strada più veloce della beer firm non sempre è mosso dalle giuste motivazioni o realizza un buon prodotto. Naturalmente, anche per chi non sostiene queste figure, esistono delle notevoli eccezioni, ma in generale alle beer firm si imputa uno svuotamento del significato dell’essere birraio“.

scaffale di birre

Lorenzo, questa domanda conclusiva dovevi aspettartela: qual è la tua posizione riguardo alle beer firm?
Come assaggiatore io assaggio un liquido e dico se è buono oppure no. Per come la vedo io, la prima cosa da tenere in conto è la tutela del consumatore, facendo capire chiaramente quali siano i due ruoli (beer firm e birraio/birrificio), anche a livello legislativo, un ambito in cui in Italia c’è carenza di chiarezza. Al momento non è così semplice far capire al consumatore cosa sia e come operi una beer firm rispetto a un birrificio, ho fatto fatica anche io a dartene una definizione. Credo sia fondamentale fornire tutte le informazioni a chi beve la birra, a partire dall’etichetta: le beer firm dovrebbero sempre indicare chiaramente chi ha prodotto effettivamente la birra e dove è stata realizzata davvero. Negli anni mi è capitato anche di assistere al fenomeno della bier etikette (in fiammingo): la stessa birra proposta con un’etichetta differente, come se fosse stata prodotta da due birrai diversi. La chiarezza, lo ripeto, è fondamentale“.

Raccogliendo alcune opinioni sull’argomento durante i sempre più numerosi eventi dedicati alla birra, per i detrattori di queste figure si tiene conto anche di un altro problema: quanti nuovi birrifici (o beer firm) può sostenere il mercato della birra artigianale senza saturarsi? Le beer firm nascono rapidamente, di continuo, e figliano birre su birre, ottime se il birraio ha seguito il percorso adeguato, discutibili se si è seguita la scorciatoia per il guadagno; sul mercato quindi si accavallano prodotti validi e meno validi, ma ben presto questo trend potrebbe ritornare indietro come un boomerang, diminuendo la richiesta, saturata da un’offerta troppo abbondante. Voi cosa ne pensate? Siete pro o contro?

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