Home Cibo Olio al tartufo: sì o no? Per noi è no, però…

Olio al tartufo: sì o no? Per noi è no, però…

di Luciana Squadrilli 22 Gennaio 2018 14:15

L’olio al tartufo è usato indiscriminatamente e non sempre si tratta di un prodotto di qualità: ecco come si produce e perché non lo useremmo in cucina.

Ha un aroma che o si odia o si ama (e, in quest’ultimo caso, non si bada troppo a spese), dà un carattere unico anche a piatti semplicissimi come l’uovo al tegamino o le fettuccine al burro ed è uno dei più pregiati prodotti made in Italy. Stiamo parlando naturalmente del tartufo (e, in particolare, del tartufo bianco pregiato) e del suo inconfondibile profumo. l'olio al tartufo o tartufato è spesso usato in maniera indiscriminata Talmente unico che in molti non vogliono farne a meno nemmeno fuori stagione – piuttosto corta e obbligata, visto che questo fungo ipogeo nasce solo spontaneamente in precise condizioni ambientali e non è coltivabile – e lontano dalle sue aree di provenienza. In questi casi, diventa inevitabile ricorrere a prodotti conservati o succedanei, tra cui il più diffuso è l’olio al tartufo o, come è spesso definito, tartufato. Un tempo considerato una raffinatezza gastronomica, oggi sembra quasi impossibile scampare al suo uso indiscriminato e spesso totalmente sbagliato, dalla pizza alla temibile carbonara tartufata. Tanto da far sorgere l’inevitabile domanda: ma perché?

olio al tartufo

Così come preferiamo continuare ad attendere la stagione giusta per le fragole più saporite e le zucchine più tenere, non potremmo concentrare il consumo di tartufo fresco nella sua stagione, o accontentarci delle diverse varietà disponibili nel corso dell’anno in base al periodo? E soprattutto: vale davvero la pena spendere soldi per acquistare prodotti di dubbia qualità – quali sono la gran parte degli oli tartufati in commercio – a base di olio scadente corretto con l’aggiunta di aromi di sintesi? Dall’altro lato, ci sono ragioni non senza fondamento: da quelle, più che legittime, dei produttori a quelle dei consumatori – soprattutto coloro che, sfortunati, abitano in aree geografiche dove il tartufo non cresce o non ha le caratteristiche di quelli nostrani – per non parlare degli chef che utilizzano l’aroma del tartufo per completare le proprie creazioni. E, naturalmente, non mancano i prodotti di qualità che partono da un’ottima materia prima di base – l’olio extravergine d’oliva – e adoperano aromi di qualità altrettanto elevata. Allora, cerchiamo almeno di capire di cosa si tratti esattamente facendo un po’ di chiarezza e anche sfatando alcuni miti, su come è fatto l’olio al tartufo, se sia un alimento sano, come orientarsi alla scelta e all’utilizzo. Se proprio si deve, naturalmente.

Come si prepara e come si usa un olio al tartufo

tartufo

Intanto, mettiamo in chiaro una cosa: il maggior responsabile del caratteristico profumo del tartufo bianco (e anche delle altre qualità) è il bismetiltiometano, un componente chimico gassoso – o meglio, un composto organico solforato, all’origine delle note di zolfo – con il calore l'aroma di tartufo si disperde molto più velocemente presente anche in diversi altri prodotti, commestibili e non: dalle teste dei gamberi (che, se mangiati crudi e freschissimi, ricordano infatti il tartufo) ai legumi, fino al petrolio. Oltre ad esso, a creare il profilo aromatico del tartufo bianco concorrono in misura minima altre note che – a seconda delle varietà e delle specifiche zone in cui sono cavati i tartufi – sono più o meno presenti: aglio, fungo, terra, miele e così via. Avendo a disposizione un buon olio extravergine d’oliva e un tartufo di buona qualità – e qualora la si consideri un’idea migliore investirlo così invece che in un’abbondante grattugiata – è possibile preparare in casa, per infusione, una piccola quantità olio aromatizzato che ne diffonda il profumo su diversi piatti. Il risultato, però, potrebbe non essere all’altezza delle aspettative: è vero, infatti, che l’olio assorbe le componenti volatili del tartufo ma solo in minima parte e, per avere una presenza davvero incisiva nel piatto, bisognerebbe utilizzare dosi molto abbondanti di olio. Una soluzione, oltre che molto dispendiosa, anche potenzialmente sgradevole dal punto di vista organolettico. Inoltre, con il calore il bismetiltiometano – come tutte le componenti volatili – tende a volatilizzarsi di più; il ché significa, ad esempio, che se metto qualche scaglia di tartufo bianco su un risotto caldo ne esalterò ancor di più l’aroma, ma pure che se cuocio o essicco qualcosa che contiene tartufo (per esempio, della pasta all’uovo) ne disperdo gran parte dell’aroma.

Aromi aggiunti

tartufo

Ecco perché chi fa prodotti al tartufo è costretto ad aggiungere una dose extra di aroma di tartufo. E qui è necessaria una precisazione: per legge, si può parlare di aromi naturali quando almeno per il 95% essi sono estratti – perlopiù per distillazione o con solventi di vario genere – non esiste differenza tra l'aroma estratto dal tartufo e quello prodotto sinteticamente da prodotti vegetali o animali in cui sia presente il composto da estrarre: se si tratta del prodotto originario di cui si vuole ricreare l’aroma, si parla di aromi FTNF (from the name fruit) mentre se la matrice (il prodotto da cui si ottiene l’aroma) è diverso no, ma è sempre naturale e in entrambi i casi nell’elenco degli ingredienti si può scrivere aroma naturale. Ci sono poi aromi di sintesi ricreati con procedimenti chimici a partire da matrici diverse – in cui comunque il bismetiltiometano è presente in natura – come il petrolio, e in quel caso si deve utilizzare il termine generico di aroma. Per quanto sia effettivamente più confortante sapere che il profumo in questione deriva da un tartufo vero o proprio o comunque da un prodotto commestibile piuttosto che da una miscela di idrocarburi – e il costo sia notevolmente diverso – va detto che non ha molto senso demonizzare gli aromi non naturali per lo meno dal punto di vista chimico: le molecole, infatti, non hanno memoria e – tecnicamente parlando – non c’è differenza tra il bismetiltiometano estratto dal tartufo, dal gambero o dal petrolio. Sta poi all’abilità dell’aromatiere – chi, per professione, mette a punto gli aromi – ricreare un profilo aromatico il più vicino possibile a quello originario, aggiungendo ad esempio aromi di aglio, miele, fungo per replicare la rotondità del tartufo bianco, proprio come si trattasse di un profumo.

tagliolini al tartufo

Ugualmente infondate le accuse indirizzate all’aroma di tartufo riguardo alla salute; non ci sono prove della nocività del bismetiltiometano, tanto è vero che non ne sono previste dosi massime di utilizzo contrariamente ad altri prodotti considerati decisamente più naturali come molte spezie tra cui perfino la vaniglia. La verità è che un uso eccessivo di questa molecola può dar luogo, tuttalpiù, a qualche sgradevole effetto collaterale di tipo digestivo. Trattandosi di un gas che il nostro organismo non assimila, è espulso (al pari dei liquidi, eliminati attraverso le urine) nella sua stessa forma; dunque, fate un po’ voi.

Conclusioni

tartufo

In conclusione, se pur non si tratta di un prodotto che amiamo in particolar modo, va detto che è possibile realizzare – e dunque trovare in commercio – oli al tartufo di buona qualità. Il segreto sta prima di tutto nelle materie prime utilizzare, vale a dire un buon olio extravergine d’oliva (invece di oli scadenti, spesso sottoposti a processi di deodorizzazione per eliminare i difetti) e un aroma naturale di buona qualità, cui magari aggiungere anche del tartufo vero attraverso processi di infusione. In secondo luogo, è fondamentale un dosaggio equilibrato: sia nell’aggiunta dell’aroma – magari usato solo per rafforzare il tartufo già presente – sia nell’uso nel piatto, che non deve mai essere eccessivo (i produttori accorti indicano: ½ cucchiaino da caffè in finitura, 1 cucchiaino per condire). Se non siete certi del prodotto che avete davanti, il nostro consiglio resta: evitate la carbonara tartufata!