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Da assaggiare: 10 salumi per conoscere il Trentino

di Stefania Leo • Pubblicato 5 Dicembre 2019 Aggiornato 25 Marzo 2022 09:26

Sebbene lo speck sia il più celebrato del Trentino, ci sono altri salumi che dovreste conoscere per apprezzare questa parte d’Italia: ve li raccontiamo.

Conservare la carne è una delle usanze più antiche del Trentino. Solo così, facendo provviste di cibo, era possibile superare i periodi di magra. Da questa necessità è nata una sofisticata tradizione di tecniche di conservazione, la conservazione delle carni era fondamentale nei periodi di magra creando anche nuovi e stuzzicanti sapori. Da valle a valle una semplice luganega si arricchisce di spezie differenti e ogni ricetta è gelosamente custodita e tramandata da padre in figlio. Ma dalla carne non si ottengono solo salumi. A volte la materia prima è trattata e conservata, creando pietanze come la carne salada o salmistrata o affumicata. Sono prodotti nati per il sostentamento del mondo contadino, che aveva la necessità di portare con sé alimenti da consumare durante il lavoro. Oggi sono diventate delle vere e proprie leccornie. A garanzia dei prodotti agroalimentari che spiccano esiste il marchio Qualità Trentino, biglietto da visita delle produzioni trentine di eccellenza, ne assicura l’origine territoriale e gli standard qualitativi della filiera di produzione. Ecco 10 salumi e carni da non perdere in Trentino.

  1. Carne di razza grigio alpina. La vacca grigio alpina è una delle più antiche abitanti delle Alpi. Alpi. Allevata per secoli dalle popolazioni locali soprattutto in contesti marginali ed estremi come quelli dei masi d’alta quota, è riuscita grazie all’adattamento ai duri contesti montani e all’isolamento a mantenere inalterate le caratteristiche di razza. Oggi è allevata sia per la produzione del latte sia per quella della carne. Dalla vacca grigio alpina nasce carne affumicata e kaminwurz, un salume ottenuto attraverso un’affumicatura in ambienti con aria secca. Dal 2004 questo animale è diventato Presidio Slow Food. La sua macellazione e lavorazione è praticata in Val di Fiemme con punte di eccellenza nella Macelleria Dagostin, famosa proprio per la carne salada di grigio alpina, tenera e saporita. Tra gli allevatori storici di questa razza pregiate anche l’Agritur Maso Fior di Bosco a Valfloriana dove si può gustare un’ottima tagliata o filetto. 
  2. Speck (anche nella versione affinata ai fiori di Primiero) e filetto di Speck. Al solo pronunciare della parola Trentino, i gourmet di tutto il mondo pensano speck. Si tratta di un prosciutto crudo disossato con un’affumicatura leggera e una stagionatura media di 7 mesi. Di valle in valle non si mangia mai lo stesso salume: il segreto è una serie di ricette tradizionali, tramandate di generazione in generazione. Ogni macelleria ha la sua concia per l’affumicatura, il suo posto e una storia legata a questo prodotto. Un autentico speck trentino deve essere fatto da cosce di maiale, nato, allevato e macellato in provincia di Trento. Una variante interessante è rappresentata dallo speck della Macelleria Bonelli, nella Valle di Primiero: a renderlo unico nel suo genere sono le erbe e fiori dell’Azienda agricola Erborì che danno al prodotto un gusto delicato e profumato allo stesso tempo. Per una degustazione in una suggestiva cornice montana, l’indirizzo giusto è il Maso dello Speck, a Daiano, in Val di Fiemme. Qui è anche possibile conoscere l’intera filiera da cui nasce il famoso salume trentino. Per i palati più raffinati, non può mancare un assaggio di cuore di Speck, la sua parte più nobile, che si sciogli e in bocca. Due indirizzi per questa leccornia: la Macelleria Dagostin di Varena e l’Agritur El Mas di Moena.
  3. Speck cotto. Cambia solo il metodo di conservazione, ossia la cottura in alternativa alla stagionatura. Eppure il risultato è talmente sorprendente da far pensare si tratti di un salume completamente diverso. Lo speck cotto è realizzato con una cottura a vapore e una leggera affumicatura. Questo processo rende lo speck più appetibile per i bambini ed è solitamente consumato a Pasqua. La Macelleria Bonelli ne produce uno senza glutine e senza lattosio, adatto anche ai celiaci ed intolleranti, così come tanti altri loro prodotti.
  4. Lucanica Trentina. Non c’è famiglia senza lucanica. Nella tradizione contadina questo salume accompagnava le giornate di lavoro. Oggi è la sintesi della storia famigliare di ogni macellaio, che nella ricetta nasconde un tocco segreto. La lucanica (detta in dialetto luganega) è un salume dal gusto delicato, speziato, con sentore di pepe e aglio. Si realizza anche con carne di cavallo, di capra (soprattutto in Val di Fiemme) e di struzzo trentino (in Valsugana). La lucanica può essere aggiunta fresca a canederli, al tonco del pontesel, allo smacafam o semplicemente cucinata alla griglia e abbinata alla polenta. Tra quelle più particolari, da provare la lucanica di carne di capra della Macelleria Dagostin (dove è possibile anche fare visite guidate) e quella di maiale (anche senza glutine e senza lattosio) del Masc Aloch a Pozza di Fassa.
  5. Carne fumada di Siror. La carne fumada si ottiene passando in salamoia e poi affumicando e stagionando un girello di manzo. Il processo richiede almeno un mese, ma dà vita a un prodotto da consumare crudo, per lo più come antipasto. Questa tecnica di conservazione della carne è diventata di uso comune nel secolo scorso. La ricetta originale è della Macelleria Bonelli di Siror, che la produce da circa 40 anni, tanto da essere stata inserita nell’Atlante dei prodotti tipici trentini. Ottima da gustare come antipasto con scaglie di Trentingrana e qualche fettina di mela trentina.
  6. Carne salada. Ben più antica è la tradizione della carne salada. Se ne parla sin dall’inizio del Settecento. Anche qui si è fatto di necessità virtù: la carne andava conservata per far fronte al lungo inverno. Ogni singolo pezzo è passato a secco in una miscela di sale e spezie. La carne salada dell’Alto Garda e Ledro ha ottenuto nel 2015 la De.Co. – Denominazione di Origine Comunale: è il primo piatto tipico a ottenere questa importante certificazione.
  7. Scorzèta. La Scorzèta è un insaccato di puro suino che va consumato cotto. Come lo zampone o il cotechino, va abbinato a crauti, fagioli, purè di patate o lenticchie. Per produrre la Scorzèta, si macinano insieme polpa, testa, pancetta e cotiche crude. All’impasto si aggiunge una salamoia secca fatta con sale, aglio tritato, cannella, coriandolo, noce moscata, ginepro, macis e chiodi di garofano. La sapienza delle mani dei macellai (o la loro impastatrice) procederà a creare la base del salume, poi insaccato in un budello di manzo del diametro di 44-46 mm. Poi si passa alla legatura con spago alimentare, con cui si otterranno pezzi da 8-10 cm. I vari salami sono messi ad asciugare per 12 ore in un luogo fresco. La Scorzèta non è facile da trovare: uno dei posti in cui la si può gustare è l’Agritur Dalaip dei Pape vicino alla splendida Val Canali. 
  8. Ciuìga del Banale. Mangiando la Ciuìga del Banale si può accedere a un pezzo di storia del Trentino, in cui la povertà era l’unica coordinata attorno alla quale si sviluppava la cucina. Si faceva con quello che c’era. La storia di questo salume nasce nel territorio delle Giudicarie Esteriori, valle incastonata tra il Lago di Garda e le Dolomiti di Brenta, nel Trentino, in particolare nella zona di San Lorenzo in Banale. Qui nacque l’idea di mescolare carne di maiale, sempre troppo scarsa, e le rape, che facevano volume e ingannavano l’occhio e lo stomaco. Ovviamente c’erano anche le spezie (aglio, sale e tanto pepe nero). L’affumicatura era eseguita in un locale senza camino. La ciuìga è oggi un Presidio Slow Food ed è prodotta ancora per uso familiare. La si abbina solitamente a crauti, lenticchie, purè o polenta.
  9. La carne di Tingola Fiemme. La pecora Tingola è una razza che rischiava l’abbandono. Ma, grazie anche all’intervento del Parco Naturale di Paneveggio Pale di San Martino che coordina un progetto per valorizzarne la lana, la Tingola Fiemme rappresenta un motivo di vanto per gli allevatori locali, nonché un modo per diversificare l’allevamento trentino. Grazie al lavoro dell’Azienda agricola Delladio Nicoletta di Tesero, oggi è possibile degustare il ragù di agnello o i würstel ottenuti con questa carne. 
  10. Mortandèla della Val di Non. Da non confondere con la mortadella bolognese, la Mortandèla si presenta a forma di polpetta, leggermente affumicata. Simbolo della Val di Non, è prodotta ancora artigianalmente e manualmente da alcuni macellai specializzati. La dimensione delle polpette varia a seconda della grandezza della mano che la prepara. Nel passato, in occasione della Fiera dei Santi (1 novembre), ogni famiglia della valle acquistava un maialino che era allevato per circa 12 mesi a patate, crusca, ortaggi e fieno. Con la carne era prodotta la Mortandèla affumicata. Si abbina in maniera perfetta con i tortèi o la torta de patate. Ottima abbinata con il Groppello di Revò. Tra i produttori storici la Macelleria Fr.lli Corrà di Smarano e il Massimo Goloso di Coredo. 

L’evento

Da giugno a settembre la Macelleria di Montagna, club di produttori selezionati con tanto di disciplinare, insieme a ristoranti, agriturismi, malghe e rifugi propongono l’iniziativa Trentino Barbecue. Gli amanti di carni e salumi stagionati possono tuffarsi in un ricco calendario di appuntamenti con gli artisti del grill e la migliore carne trentina. I macellai consigliano il taglio di carne più adatto, mentre lo chef si occupa di preparare una grigliata perfetta. Si va dall’atmosfera romantica sulle sponde del lago di Garda, agli spettacolari scenari di malghe affacciate sulle Pale di San Martino, nel cuore delle Dolomiti. 

  • IMMAGINE
  • Federico Modica