Home TV e media Il pesce si può frollare? Sì, e ce lo spiega Jacopo Ticchi della Trattoria da Lucio di Rimini

Il pesce si può frollare? Sì, e ce lo spiega Jacopo Ticchi della Trattoria da Lucio di Rimini

di Francesca Feresin 9 Luglio 2021 14:03

Come per la carne, anche il pesce si può frollare: ce lo spiega Jacopo Ticchi, uno dei pionieri della frollatura del pesce in Italia.

Il tempo trasforma, matura e invecchia tutto ciò con cui entra in contatto; è onnipresente, crea il ricordo, l’aspettativa, l’eternità e anche il gusto. È un ingrediente, killer silenzioso che però, manipolato a dovere, diventa veicolo di sapori ancestrali. E forse la persona che più di tutte ho visto rispecchiarsi nel tempo, nelle sue molteplici sfaccettature, è Jacopo Ticchi, un giovane cuoco romagnolo alla guida della cucina di Trattoria Da Lucio a Rimini. In lui il tempo prende tre strade, parallele ma non troppo, che si incrociano, si uniscono per poi nuovamente divergere toccando l’ambito della memoria, della conservazione e dell’immortalità. Un tempo che è dedicato anche alla frollatura del pesce.

Memoria: la trattoria da Lucio

Trattoria Da Lucio è il nome del ristorante di Jacopo, aperto nel 2019 assieme a Enrico Gori e Roberto Magnani. Un’insegna dall’aspetto tradizionale che ricorda quell’immaginario comune in cui la trattoria prende il nome dall’oste che ogni mattino alza la serranda e porta il conto a tavola. un'insegna che riporta indietro nel tempo per una trattoria di pesce moderna Un’insegna che al solo leggersi riporta indietro nel tempo, a quel passato nostalgico, irreversibilmente perso. Un’insegna che, d’altra parte, una volta indagata, nell’arco di pochi attimi che scorrono, rovescia lo stereotipo del vecchio oste con il suo opposto: Lucio non è un cameriere di vecchia data, veterano del vino rosso e di un sigaro a fine giornata; Lucio è il figlio di Jacopo, un bimbo di appena 4 anni, ingenuo, curioso del mondo e del giorno che verrà. Trattoria Da Lucio della trattoria racconta i gesti, l’atmosfera, la convivialità, l’intimità. Racconta la vibrazione dei bicchieri in cristallo, il suono delle posate che toccano i piatti in ceramica stracolmi di cibo, la scarpetta alla trippa (di pesce) e la tovaglia sporca a fine mangiata. Della trattoria, Da Lucio, ricorda lo star bene.

Nuove prospettive sul mondo del pesce

Se il tempo si ferma in sala, non si ferma in cucina dove Jacopo, sommando studio ed esperienza, propone piatti unici, identitari, che a Rimini e nell’Italia intera non si erano mai visti. “L’obiettivo della trattoria è creare nuove prospettive sul mondo del pesce, sì dal punto di vista tecnico della lavorazione e della conoscenza, ma sempre in funzione di salubrità, sostenibilità e gusto, al fine di accogliere i nostri ospiti con calore e informalità, con il racconto di ciò che andranno a mangiare, accompagnandoli sin dal loro ingresso con il nostro benvenuto dalla cucina, un brodo caldo, o un piccolo boccone attraverso un’esperienza nel profondo mare, con tutto il nostro pesce dalla testa alla coda” – racconta Jacopo, che per piccolo boccone intende il Paté di fegato di polpo con cioccolato fondente e frutti rossi e la cozza appena aperta e macchiata di salsa aioli.

Sapori estremi per stomaci coraggiosi, per cuori ebbri che nulla hanno a che vedere con la ristorazione standardizzata, prettamente turistica, della riviera. E recuperando sapori genuini, ingiustamente scalzati dalla logica omologante della ristorazione di massa, Jacopo riporta in pista l’uso dell’aglio e del prezzemolo senza puntare a rivisitare la tradizione ma semplicemente a dire la sua.

Conservazione: la frollatura del pesce

Nell’affermarsi, Jacopo tocca un altro lato del tempo, una sua faccia subdola, poco identificabile, apparentemente statica ma, nel profondo, in continuo fermento: la frollatura. Ore e giorni spesi nella conservazione e maturazione del pesce che nel frattempo muta il proprio profilo sensoriale. L’intuizione è geniale, figlia di un futuro passato che vede oltre la morte biologica di un animale, che non è catturato e mangiato, ma pazientemente lasciato maturare. In un’ottica leopardiana per cui l’attesa aumenta il piacere, si attiva il processo enzimatico che scompone la struttura proteica del pesce rendendolo più semplice, diverso al morso e al gusto. E questo i pescatori già lo sanno: “il tonno non si mangiava in barca”.

L’ispirazione è oltreoceano, dall’australiano Josh Niland, da cui Jacopo ha fatto tappa nel suo girovagare. Il suo libro The Whole Fish, racconta approfonditamente questa tecnica che Ticchi trasla e adatta al suo territorio, al Mar Adriatico, difendendolo e sostenendolo, indagandolo per trarne il meglio. Dentice, leccia, muggine, mazzola, rana pescatrice sono i protagonisti delle celle in cui avviene la magia, a temperature, umidità e ventilazione strettamente controllate.

La tecnica della frollatura manifesta la sua massima espressione nei filetti alti del pesce, dove dona un gusto più chiaro e una consistenza burrosa e avvolgente da apprezzare sia in veste cruda che cotta. Tanto nell’eccezionale, ormai cavallo di battaglia, muggine crudo, in questo caso frollato tra i 6 e gli 8 giorni, tuorlo affumicato e colatura di alici, quanto nella leccia (simile alla ricciola, dalla pezzatura di 12 – 15 kg a cui si applica una maturazione di circa venti giorni) alla brace con fondo bruno e trito estivo di peperoni rossi, zucchine, cipollotti, friggiteli ed erbe aromatiche. Grazie alla frollatura la cottura del pesce è breve in quanto il processo enzimatico ha già denaturato le proteine e l’acqua in eccesso è stata eliminata.

Dunque una tecnica nota di lavorazione della carne, qui applicata a tutt’altra proteina, in una contaminazione mare e monti che tanto racconta di Jacopo, cresciuto in collina e divenuto in seguito, un lupo di mare. dell'animale non si butta via niente, comprese le frattaglieMi piace stare a metà tra il mare e le mie origini campagnole, trattando il pesce come fosse maiale, lavorandolo quindi al massimo”. Seguendo la filosofia del cuoco britannico Fergus Henderson, il nose to tail, dalla testa alla coda, Jacopo sfrutta tutto dell’animale, valorizzando fino all’ultimo scarto. Le frattaglie, che sono più del 60% del corpo del pesce, non sono assolutamente buttate, ma anzi lavorate con tale maestria da produrre capolavori quali il Cuore di tonno alla brace, dal sapore ferroso e deciso smorzato dalla pungente grassezza delle tre salse a base d’aglio, pomodoro e prezzemolo. O ancora lo spiedo di fegato di dentice, rosso e succulento, alla brace avvolto nelle rete di maiale. Un inno all’etica e all’economia. Da non dimenticare le verdure “che danno valore al pesce anche nella masticazione e conferiscono sfumature di sapore sempre nuove e diverse”.

Il sapere racchiuso in un libro

Tutto questo, sempre all’interno di un contesto temporale, è fissato eternamente su carta stampata, nel volume Oltre la frollatura, edito Maretti, il primo libro italiano sulla frollatura del pesce e non solo, che racconta tralci e spie della vita di Jacopo, le sue esperienze, sogni e progetti. Il tutto animato dagli scatti di Lido Vannucchi, perché anche la fotografia gioca col tempo. Con questo libro Jacopo, nonostante la giovane età (anagrafica ma non mentale), vuole e va oltre. Oltre Rimini e la sua ristorazione amimica, oltre il concetto di trattoria e fine dining, oltre il pesce. Oltre il tempo, narrando in più capitoli, la sua idea di cucina e ristorazione. Consigli sull’acquisto del pesce, note sulla sua processazione e conservazione, con un passaggio tecnico – scientifico sul perché e il per come della frollatura, fino ad arrivare a un ricettario testa-coda dei più significativi piatti della trattoria Da Lucio, sono il succo di questa piccola opera rivoluzionaria.

Tra le righe, Jacopo, si racconta e scrive: “Penso spesso a come cucinava mia nonna in campagna, ai suoi gesti, ai suoi tagli, le sue salse anche slegate con l’olio e i succhi di cottura, gli intingoli, i patti messi al centro della tavola, e sono questi i gesti che cerco di ripercorrere ogni giorno pur restando un giovane che vive tutto nel presente”. Un passato che ritorna presente e futuro, attraverso un atto, quello del cucinare, estemporaneo, quasi involontario, unico nel suo genere, che ora, rilegato in un libro, lasciato sul comodino, cementa e acquista immortalità.