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Binge eating: cos’è il disturbo da alimentazione incontrollata

di Marta Manzo 21 Maggio 2024 14:00

Ha una sua sigla inglese, BED, che sciolta significa binge eating disorder, e si colloca nella famiglia dei disturbi del comportamento alimentare. Come si manifesta e come si “cura”, ecco tutto quel che c’è da sapere sul binge eating

Ha una sua sigla inglese, BED, che sciolta significa binge eating disorder, più comunemente sintetizzato in binge eating o abbuffata compulsiva. Parliamo di un disturbo da alimentazione incontrollata, che si trova nella famiglia dei DCA, cioè un disturbo del proprio comportamento alimentare. Ma che cos’è e come si manifesta il binge eating? Ecco tutto quel che c’è da sapere.

Che cos’è il binge eating?

binge eating

Detto in parole semplici, avere un disturbo alimentare da binge eating significa abbuffarsi compulsivamente. Ma questo non è sufficiente a identificare tutto ciò che accade. Sì, perché, per parlare propriamente di BED, bisogna che si verifichino, contemporaneamente, molti più elementi.

Come riconoscere i sintomi del BED

Intanto, chi è binge eater ha episodi ricorrenti di abbuffate: non mangia tantissimo, perciò, in maniera occasionale, ma lo fa con costanza. Si trova a farlo più volte in una settimana, in media da 1 a 3, e almeno per 3 mesi consecutivi.

Chi si abbuffa in maniera compulsiva non cerca, come succede invece spesso nell’alimentazione dei grandi obesi, junk food o comunque non ha una scarsa igiene nutrizionale: mangia tutto quel che trova. Ciò che fa la differenza, perciò, non è tanto la qualità del cibo, quanto piuttosto la quantità, enorme, di alimenti che riesce a ingerire in un lasso di tempo brevissimo, molto spesso peraltro in assenza di appetito.

Di conseguenza, chi si abbuffa compulsivamente sperimenta una enorme perdita di controllo e di percezione di sé: durante ogni singolo episodio, infatti, si mescolano la sensazione di non poter smettere di mangiare e di non controllare cosa e quanto si stia ingerendo con il forte senso di colpa, il disgusto di sé, nei casi più gravi con sintomi depressivi importanti.

Si mangia finché non ci si sente fastidiosamente sazi. Si mangia da soli, senza che nessuno possa guardare, in modo da non aggiungere ulteriore imbarazzo a ciò che già in partenza si percepisce come “sbagliato”.

E, infine, a differenza per esempio del disturbo bulimico, quando si soffre di binge eating non si compensa in alcun modo: chi si abbuffa non ricorre, dopo, né a digiuno, né a eventuali purghe, tantomeno a esercizio fisico o a vomito autoindotto con l’idea di riequilibrare l’episodio appena accaduto.

I criteri diagnostici secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5)

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Noto anche con la sigla DSM, dal titolo dell’edizione statunitense Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è uno dei punti di riferimento per psichiatri, psicologi e medici di tutto il mondo, sia nella pratica clinica sia nell’ambito della ricerca,

Redatto dall’American Psychiatric Association, questi i criteri diagnostici riportati associati al binge eating.

A) Ricorrenti episodi di abbuffate. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi gli aspetti seguenti:

  • mangiare, in un periodo definito di tempo (per esempio, un periodo di 2 ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili;
  • sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per esempio, sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa o quanto si sta mangiando)

B) Gli episodi di abbuffata sono associati a 3 (o più) dei seguenti aspetti:

  • mangiare molto più rapidamente del normale;
  • mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;
  • mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati;
  • mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando;
  • sentirsi disgustati verso se stessi, depressi o assai in colpa dopo l’episodio.

C)È presente un marcato disagio riguardo alle abbuffate.

D)L’abbuffata si verifica, in media, almeno 1 volta alla settimana per 3 mesi.

E) L’abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate, come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa.

Disturbi dell’alimentazione, i dati del ministero della Salute

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Secondo i dati diffusi dal ministero della Salute, aggiornati a marzo 2024, i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione – i DNA – in particolare anoressia, bulimia nervosa e binge eating hanno ormai un esordio sempre più precoce nelle fasce più giovani della popolazione.

Questo perché originano da tanti fattori diversi, che però si intrecciano nella vita dei ragazzi. Riguardano, infatti, il cibo, il peso e il vissuto corporeo – che viene influenzato da un’immagine fortemente distorta – ma anche problematiche di tipo biologico, psichico, familiare e socio-culturale.

La stima del dicastero è che oggi, in Italia, più di 3 milioni di persone soffrano di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, con decine di milioni di giovani e di adulti in tutto il mondo che ogni anno se ne ammalano.

Tipicamente questi disturbi hanno l’esordio in età evolutiva e colpiscono maggiormente la popolazione femminile, anche se il numero dei maschi sta aumentando soprattutto in età adolescenziale e pre-adolescenziale.

Inoltre, i DNA stanno iniziando a diffondersi in maniera consistente anche nella popolazione infantile, con bambini di 8-9 anni che presentano sintomi di disturbi alimentari tipici dell’età adolescenziale e adulta, soprattutto di tipo anoressico e non più disturbi alimentari propri dell’età infantile come invece accadeva qualche anno fa. E la pandemia non ha fatto altro che peggiorare ulteriormente la situazione, con un incremento di casi stimato di almeno il 30-35%.

Possibili cause del binge eating

Nessuno studio, finora, è riuscito a dare risposte esaustive circa le cause scatenanti delle abbuffate. La teoria più citata, in letteratura clinica, è proprio quella “multifattoriale”, che tiene dunque conto di fattori genetici, neuroendocrini, evolutivi, del contesto affettivo e sociale in cui il soggetto vive o ha vissuto. Ciò significa che potrebbe essere espressione di un disagio legato ad altri accadimenti.

Più nel dettaglio, sembra rivestire un ruolo fondamentale nell’esordio della patologia l’aver vissuto difficili esperienze in età infantile, insieme alla presenza di disturbi depressivi nei genitori, così come la tendenza all’obesità e la ripetuta esposizione a commenti negativi riguardo la forma, il peso e la modalità di alimentazione.

Ancora una volta, cercando di ricorrere a parole semplici, le abbuffate compulsive potrebbero essere una modalità di fuga o di risposta a un blocco emotivo di fronte a uno stato o una situazione ritenuti intollerabili, insieme a una difficoltà comportamentale a gestire le reazioni automatiche a determinati eventi.

Peraltro, il binge eating è soggetto a comorbilità, poiché alle abbuffate può associarsi la depressione e possono innescarsi altri comportamenti disfunzionali legati agli impulsi come etilismo, la tossicodipendenza, autolesionismo, perfino cleptomania e promiscuità sessuale.

Infine, per quanto riguarda il costante pensiero focalizzato sul cibo, sul peso e sull’aspetto fisico, molto più comuni negli altri disturbi dell’alimentazione, questa interazione può comunque verificarsi, anche se meno frequentemente.

Diagnosticare il disturbo da alimentazione incontrollata

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Ricevere una corretta diagnosi di BED è particolarmente importante e ogni caso va valutato singolarmente. È necessario, prima di tutto, arrivare a riconoscere tale disturbo, perché chi si abbuffa spesso tende a mascherare il disagio proprio in virtù del senso di colpa e del sentirsi “sbagliato”, tanto quanto potrebbe non essere del tutto cosciente del suo comportamento alimentare disfunzionale.

Rivolgersi al proprio medico, sia della mutua, sia specialista in DCA e obesità, così come chiedere aiuto a un terapeuta può essere un primo passo.

Come si “cura” il binge eating

“Curare” il binge eating significa intanto iniziare a interrompere il meccanismo, l’automatismo che porta all’abbuffata compulsiva. Perché questo accada è necessario indagare le cause che portano al binge eating e si tratta di un percorso piuttosto lungo, non soltanto diagnostico – con analisi mediche per capirci – ma anche e in gran parte psicologico.

Da un lato, infatti, è necessario cominciare a prendersi cura della parte alimentare della propria vita, dall’altro di imparare a riconoscere i momenti in cui si scatena l’impulso all’abbuffata, dei motivi che vi sono sottesi, e di riuscire a sostituire, nel tempo, una reazione differente a quella immediata di aprire il frigorifero e mangiare tutto ciò che capita a tiro.

Banalmente, soltanto “mettere a dieta” un binge eater potrebbe essere ancor più deleterio, perché rischierebbe di innescare un circolo vizioso: soprattutto davanti a un regime alimentare rigido, con un aumento di senso della fame, il rischio di innescare nuove abbuffate aumenta, per cui è facile incappare nel cosiddetto effetto yo-yo che porta, nel tempo, ad aggravare ulteriormente la condizione di obesità.

Finora, ottimi risultati sono stati ottenuti con l’aiuto della terapia cognitivocomportamentale (CBT), in grado di aiutare i pazienti ad individuare i pensieri ricorrenti e gli schemi disfunzionali di ragionamento e d’interpretazione della realtà, tra cui anche quelli legati al binge eating.