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I racconti del professore: Bros a Lecce

di Alfonso Isinelli 24 Luglio 2017 09:44

Bros a Lecce è il ristorante di Floriano Pellegrino e Isabella Potì, due giovani talenti da cui siamo tornati a mangiare: ecco la nostra esperienza.

Sin dall’apertura, circa un anno e mezzo fa nel pieno centro della bellissima Lecce, l’impatto mediatico e comunicativo di Bros (via degli Acaya, 2) è stato forte. Sono giovani, determinati, ambiziosi, con un già ricco curriculum di esperienze in Italia e soprattutto all’estero: da Berasategui ad Atxa, da Redzepi ad Aduriz, da Bosi a Gauthier fino a Gagnaire. al fianco di floriano pellegrino è rimasta isabella potì, un talento under 30 da tenere d'occhio I fratelli Pellegrino, affiancati dall’ancor più giovane talento di Isabella Potì (anche per lei passaggi importanti da Bosi e Torreblanca), hanno riempito le cronache gastronomiche italiane e straniere, e non solo quelle. Non bisogna nascondere che si è trasmesso un senso di arroganza mediatica, dettata anche da qualche invidia, che invece non è altro che una determinazione, intransigente, feroce, a portare avanti le proprie idee e un progetto di lavoro. E questa determinazione ha probabilmente fatto sì che oggi dei tre fratelli Pellegrino ne sia rimasto in gioco solo uno, Floriano, che gli altri, più giovani, siano scesi dalla barca: Antonio all’inizio, Giovanni, qualche mese fa. Accanto a Floriano è rimasta Isabella, che a 21 anni esprime il suo talento non solo nelle corde della pasticceria, di cui tiene le redini, ma anche nel salato. Una mano cristallina, precisa, tagliente, non per nulla indicata tra i 30 talenti under 30 della cucina mondiale da Forbes.

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Entrando nel loro locale – moderno, pulito, essenziale, con sei tavoli per una ventina di coperti in due ampie sale – sceglierete fra due menu: il primo da 60 euro per 5 portate, il secondo da 100 per 10, oppure alla carta per un pasto completo, e spenderete tra i 50-60 euro. Vi lascerà un filo perplessi il servizio con i camerieri forniti di auricolari, che servono a comunicare con la cucina, ma i tempi di servizio vi faranno capire quanto siano invece funzionali. E quando arriveranno gli amuse-bouche, che spesso troviamo ormai sovrabbondanti e noiosi, questo concetto vi ripasserà per la testa, salvo poi all’assaggio trovare una sorprendente incursione nei sapori salentini, innervata dalle suggestioni delle esperienze in giro per il mondo, che sarà il filo conduttore di tutta la cena. La formaggella fresca con le foglie di mirto, il raviolo nero di gamberi e alga nori, il pancake con lardo affumicato, l’aceto (la cui presenza accompagnerà l’intero pasto, come da tradizione salentina) con l’anguria e sull’uovo di quaglia con le alghe, sono solo alcuni esempi.

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tarte zucchine e vongole

Poi, accompagnati alla beva da un percorso di estratti di frutti e verdura, i pomodorini infornati da intingere nella zuppa di ricotta forte, come fossimo in una vecchia masseria; il cuccummarazzu (una sorta di via di mezzo tra un cetriolo e un melone che cresce solo in Puglia e in Afghanistan) con latticello e caviale a dare non nobiltà ma salmastro. E poi la tarte zucchine e vongole, golosissima, servita in una confezione da fast food con variopinti loghi pop.

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lenticchie, cocco e aneto

A seguire dopo il croccante quasi indiano delle lenticchie, cocco e aneto, il piatto della serata (e uno dei più buoni mangiati quest’anno). Fave nette, rucola, acqua di olive, perché qui uno dei motti rivendicati è “Basta mitologia di mamme e nonne, viva la materia prima salentina”, qui comunicata nei sapori di un classico piatto salentino, ma espresso in forme diverse: gnocchi di fave, crema di ricola, acqua di olive e sapori dirompenti.

rana pescatrice
rana pescatrice

Dopo il passaggio interlocutorio delle linguine crema di pistacchi, liquamen (la parte liquida che si ottiene dalla fermentazione del garum) forse troppo saporite (anche se quel finale di nocciolo e salamoia che resta alla fine dell’assaggio non dispiace) ai secondi. Dove si impone la mano di Isabella Potì: niente sottovuoto, roner, ma cotture classiche. La rana pescatrice, cotta à la minute, sul barbecue, laccata con aceto, servita con nocciole tostate, salsa alla nocciole ed olio all’aglio, ha una consistenza tenace e fondente e quel tocco di carpione che la rende ancora più fascinosa. E poi la quaglia cotta lentamente sulla stufa: il petto, giustamente rosato, è servito su una salsa al miso con melanzane e sorbetto al prezzemolo, che ritorna in succo in cui intingere la coscetta laccata alla soia.

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Si passa poi ai dolci: il Bros di frutta (Love Bros’ scritto con frutti diversi) in infusione di zucchero e cannella. A seguire due gioielli di classica golosità: l’ananas arrosto laccato al melograno, servito con gelato di brioche e crumble, e l’imperiale soufflé al limone con polvere di liquirizia e gelato alla meringa spolverizzato di polvere di limone bruciato. Resta ancora lo spazio per la piccola pasticceria, che rimanda al discorso fatto all’inizio per gli appetizer, ossia già vista ma mai così concreta: citerò solo una ciliegia carnosa, buonissima, quasi filosofica dell’idea di cucina in casa Bros. Così come il gesto finale, in uscita, al momento dei saluti, prima di immergersi nella calura e nella folla dei vicoli leccesi: un bicchiere di orzata, da gustare passeggiando. Un gesto finale che non è di addio, ma di arrivederci. Quasi spiazzante nella sua essenzialità.