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Piccola guida al Gin featuring Elio Carta

di Stefania Leo 28 Maggio 2019 14:59

Il gin è un distillato che sta riconquistando la scena della mixology di qualità: abbiamo chiesto a Elio Carta di farci da cicerone per una guida al gin.

Il gin è uno dei distillati che sta riconquistando la scena, prepotente, tra le basi preferite dai migliori mixologist del mondo. Dopo aver soggiogato e sfamato le classi sociale più povere, dopo esser stato vietato e scavalcato da concorrenti più aggressivi come la vodka, ecco che il distillato di origini olandesi sta riconquistando la ribalta. Abbiamo chiesto a Elio Carta, titolare dell’azienda Silvio Carta fondata dal padre, di ripercorrere con noi di Agrodolce le tappe di questa storia pungente e profumata come le bacche di Ginepro.

Cos’è il gin

Iniziamo dalle basi. Il gin è un distillato secco ottenuto dalla distillazione di “ginepro, che si trova dappertutto, messo in infusione con l’alcool di origine cerealicola – spiega Carta. Poi sono affiancate una serie di botaniche a seconda del gusto e dell’indirizzo che si vuole dare a un prodotto. Si parte da 4-5 referenze, “ma qualcuno arriva anche a 50“. Tuttavia questi ingredienti devono rimanere sempre un complemento per lasciare spazio alla nota dominante, il ginepro. L’aspetto è cristallino, il colore è brillante.

Origini e storia

La strada fatta dal gin per arrivare ai giorni nostri parte dall’Olanda. Questo distillato fu introdotto durante il regno di Guglielmo d’Orange in Inghilterra, attorno al 1690. Il re olandese vietò l’importazione di distillati stranieri (primo fra tutti il cognac francese) e favorì la diffusione del gin, che arrivò a costare meno della birra. Noto come dutch courage, nel diciottesimo secolo questo distillato era considerato alla stregua di una droga capace di creare una forte dipendenza. “Gli stipendi dei lavoratori arrivarono persino a essere pagati in parte con il gin”, sottolinea Carta. Furono gli anni della febbre del gin, chiamata anche The Gin Craze.

Tra il 1729 e il 1751 furono emanate le Gin Acts, una serie di leggi pensate per ridurre il consumo di gin nel paese, che ai tempi era molto alto. Basti pensare che a Londra si potevano trovare circa 7000 produttori di gin. Nel 1743 si consumavano circa 10 litri di gin pro capite, minori compresi. Durante l’epoca del proibizionismo, all’inizio del Novecento, si impose il metodo di produzione noto come bathtub. Il gin era affinato con l’infusione a freddo delle botaniche: il tutto avveniva in vasche da bagno. Da qui il nome di bathtub gin. Oggi molti produttori stanno riscoprendo questa tecnica.

Il gin tonic e la lotta alla malaria

Secondo alcune note storiche il declino del gin coincise con l’ascesa di una bevanda più salutare: il tè. Eppure il distillato non aveva solo poteri inebrianti. Si trattava anche di un prodotto curativo. Basti pensare che il Gin Tonic, uno dei cocktail più famosi realizzati col gin, sembra sia nato come rimedio contro la malaria. Il suo creatore pare fosse il medico olandese Franciscus de le Boë Sylvius. Il suo obiettivo: debellare la gotta dei ricchi e le febbri esotiche che affliggevano i soldati coloniali. Il gin, unito al chinino, aveva il potere di rendere più gradevole il preparato antimalarico. Questa era la base del gin tonic, poi perfezionato dall’acqua tonica creata da Johann Jacob Schweppe nel 1783. Le proporzioni? Semplici: 4 parti di gin e 6 di tonica, più una fettina di limone.

Le cinque tipologie

Ci sono 5 tipologie di gin, famose in tutto il mondo. Il London Dry è il più pregiato, ottenuto con la distillazione di alcol etilico agricolo, bacche di ginepro e altre note vegetali. Segue l’Old Tom, più dolce del London Dry per la presenza di una maggiore quantità di liquirizia presente nella distillazione. È fatto invecchiare in botti di vino, fattore che gli conferisce un colore caramellato. cinque tipologie di cui la più nota e conosciuta è la london dry Lo stile originario del gin è incarnato dal Jenever. Nato in Olanda nel sedicesimo secolo, è simile al whisky per il suo colore ambrato, ma ha un sapore più robusto. In questo distillato il ginepro si fa da parte per lasciare più spazio a chiodi di garofano, cumino, zenzero e noce moscata. Il New American è un gin moderno, artigianale: attorno a questa etichetta si radunano tutti i nuovi stili di gin. Il più famoso è l’Hendrick’s. Infine c’è il Plymouth, che prende il nome dal luogo in cui veniva solitamente distillato, nel Devon, in Inghilterra. Questo tipo di gin ha note speziate di coriandolo, bucce di arance essiccate, cardamomo, radice di angelica e di iris. Esiste una sola distilleria al mondo che lo produce e si chiama anch’essa Plymouth.

La nuova giovinezza del gin

La resurrezione del gin è merito della sua personalità – spiega Carta – La vodka, che ha spopolato per un po’ di tempo, soprattutto negli anni Ottanta, consumata in purezza, non ha nessun ricordo della materia prima da cui è distillata. Il gin sì. Per questo è tornato di moda: oltre a sfruttare la materia prima, ci sono anche i sentori delle botaniche, più delicati rispetto ai frutti aggiunti alle vodke, che hanno sempre un sapore più deciso”. Attualmente i maggiori consumatori di gin sono i filippini, che creano il distillato partendo dalla canna da zucchero. Si beve birra aromatizzata al gin oppure un mix a base di succo di pompelmo. Al secondo posto c’è la Slovacchia. Tuttavia nel mondo molti Paesi stanno concorrendo tra loro per proporre prodotti di altissima qualità con curiose punte di innovazione.

Le nuove patrie del Gin: Spagna

La Spagna ha al suo attivo alcune distillerie storiche e altre più giovani. Le più antiche sono Larios e MG (iniziali di Manuel Girò, figlio del fondatore), le cui aziende iniziarono il loro percorso rispettivamente nel 1866 e nel 1940. i botanicals comprendono il ginepro della vicina sierra nevada La presenza di fabbriche di gin nella penisola iberica è dovuta alla presenza inglese nel Sud del Paese. I britannici amavano commerciare e andare in vacanza in Spagna: dovevano assicurarsi che ci fosse anche il gin. Alla base del gin di Larios ci sono agrumi e botanici aromatizzanti, a cominciare dal ginepro della vicina Sierra Nevada, disponibili in grande quantità. Oggi la versione super premium di questo gin arriva a comprendere 12 botanicals inseriti attraverso una quintupla distillazione. MG iniziò la sua produzione per rispondere alla domanda interna inglese. Il fondatore disegnò personalmente gli alambicchi, ispirandosi alle distillerie inglesi di London Dry Gin, che è lo stile che oggi il figlio Manuel segue ancora.

Tra i gin spagnoli, va citato l’innovativo Gin Mare (che è possibile degustare anche in Italia). La distilleria si trova nell’entroterra catalano, lungo la Costa Dorada, nel tratto che va dopo Valencia a Barcellona. Un alambicco fiorentino destinato alla produzione di essenze di profumeria si presta alla distillazione di piccole quantità con massima resa nei profumi. I botanici utilizzati sono tipici della macchia mediterranea: olive, rosmarino e timo. Il ginepro è immancabile, ma è solo un sottofondo. Le singole erbe sono distillate singolarmente e poi messe in infusione singolarmente con diverse gradazioni alcoliche. In un secondo momento sono assemblate per realizzare il gin. Per questo il sapore di ogni pianta è percepibile distintamente.

Le nuove patrie del gin: Giappone

Nel 2016 Marcin Miller e David Croll hanno acquisito la Kyoto Distillery e l’hanno adattata alla produzione di gin di alta qualità. Fino ad allora in Giappone questo distillato non era molto raffinato, in quanto destinato solo a un blando consumo interno. La particolarità è naturalmente la varietà di botanicals utilizzati nella seconda distillazione. Yuzu, tè verde, fiori e foglie di ciliegio qui dominano il bouquet di aromi, che non vanno spenti con l’acqua tonica. Tra i gin da degustare raccomandiamo il Ki No Bi di Miller e Croll, a base di yuzu, hinoki (cipresso giapponese), bambù, tè verde gyokuro e grani di pepe sansho. Anche qui, proprio come fanno gli spagnoli, ogni erba, frutta o fiore è distillata separatamente e poi miscelata.

Attivi dal 1936, Suntory è una storica distilleria del paese del Sol Levante. Il Roku Gin, novità degli ultimi anni, mutua il suo nome dal significato di roku, che sta per sei. Questo è il numero di botanicals usati: ginepro, fiori e foglie di ciliegio giapponese, tè sencha, gyokuro, pepe sansho, scorza di yuzu. Le storiche Asahi Breweries hanno prodotto il Nikka Coffey Gin, un distillato che punta tutto su aromi agrumati locali, distillati su una base di orzo e mais. Si tratta di yuzu, shikuwasa, kabosu, amanatsu, mela e pepe sansho.

Il futuro del Gin

Per capire dove sta andando il gin, la parola d’ordine è una sola: qualità. “Il futuro del gin sarà interessante, soprattutto se si punta alla qualità, senza esagerare in sperimentazioni. A volte, pur di ricercare la novità, si finisce su cose un po’ folli. Sono convinto che il Gin di qualità avrà sempre il suo spazio, anche se gli ultimi dati lo danno in diminuzione come consumo”, spiega Carta. E a proposito di abbinamenti sbagliati: Carta raccomanda di non abbinare mai al gin spezie forti come il peperoncino: “La nota di ginepro deve sempre prevalere”.

I cocktail a base di Gin più celebri

Tra i cocktail a base di gin più celebri c’è sicuramente il Gin Tonic, oggi impreziosito da toniche ricercate e aromatizzate. Mentre impazzava la vodka alla fragola, negli anni Ottanta c’erano anche i duri e puri che si preparavano alle serate in discoteca a suon di Angelo Azzurro, un cocktail italiano poco salutare ma molto amato per i suoi 35 gradi alcolici. La ricetta: 4,5 cl di gin, 2 cl di Triple sec o Cointreau e 0,5 cl di Blue Curaçao. Un’altra bomba alcolica era il French 75. Il barman Harry MacElhone lo creò nel 1919. La sua ricetta: 1 cl di gin, 1.5 cl di succo di limone fresco e due gocce di sciroppo di zucchero da shakerare. Il cocktail va servito in un flûte con l’aggiunta di 6 cl di champagne. Infine, c’è il White Lady. A crearlo fu sempre MacElhone. La ricetta: 4 cl di Gin, 3 di Triple Sec e 2 di succo di limone.

I migliori Gin italiani

In principio, in Italia, c’erano solo i liquori al ginepro distillato, vanto di Piemonte e Trentino. Ora l’Italia è una delle patrie d’elezione del gin.

  1. Giass in milanese significa ghiaccio. Vuole rievocare la freschezza – data soprattutto dalla mela e dallo stile di consumo, cioè con ghiaccio. L’origine di questo gin non influisce sulle materie prime scelte, per cui si va a pescare altrove. Il ginepro e la mela Golden arrivano dall’Alto Adige, la mandorla di terra, detta chufa, viene dal Veneto. Le rimanenti 18 botaniche arrivano da molte parti del mondo. Il creatore di Giass è il barman Richard d’Annunzio, abruzzese trapiantato a Milano. Insieme ad altri 4 compagni di avventura, che amano il gin ma nella vita fanno tutt’altro (Andrea e Simone Romiti, Francesco Niutta e Francesco Braggiotti) hanno voluto creare Giass.
  2. Nel cuore di Centocelle nasce Er Gin, un prodotto molto verace creato dalle Distillerie Capitoline. L’obiettivo di Antonio Valentini, Francesco Peruzzi, Emiliano Valenti, Alessandro De Filippo è di realizzare un prodotto con materie prime a chilometro zero. Ispirato all’Old Tom, Er Gin usa alcol di Anagni ed erbe locali, reperite anche al parco. Il ginepro è toscano e i limoni sono di Sorrento.
  3. Oltre a creare un ambiente molto confortevole, i Botanical Club di Milano (a via Melzo, via Pastrengo e via Tortona) non fanno solo cucina, ma distillano anche gin. Sotto l’etichetta Spleen et Ideal (come titolava Baudelaire) sono raccolte le idee alchemiche poi servite prima di cena. Le bottiglie sono da mezzo litro. Dentro, un bouquet sorprendente, sempre in evoluzione.
  4. Il Gin PiùCinque comprende 10 botaniche distillate singolarmente, tra cui spiccano salvia e bergamotto, due note che omaggiano il territorio italiano. Si tratta del primo prodotto dell’azienda Three Spirits, nata a Milano nel 2015. Erano gli albori del ritorno del gin.
  5. Romantico tributo all’era del proibizionismo, il Gin del Professore omaggia l’artigianalità di quell’epoca, fondando l’aromatizzazione del suo distillato sulla grande tradizione erboristica mediterranea. Qui si agisce non con alambicchi, ma con una lunga infusione a freddo per rispettare la freschezza delle spezie. È uno dei prodotti di punta del Jerry Thomas Emporium.
  6. Dalla collaborazione tra Alessandro Gilmozzi, chef patron del ristorante El Molin di Cavalese, e il suo sous chef Andreas Bachmann, nel 2015 nasce un’eccellenza artigianale: il gin dai sapori di montagna. Si chiama GilBach. Col supporto della storica distilleria Pilzer, in Val di Cembra, nasce un gin con l’anima di birra avvolta dai morbidi sapori di bosco, grazie al sambuco e alla prugnola selvatica.
  7. Da Mistico Speziale nasce il Gin Clandestino, un altro tributo all’epoca del proibizionismo, in cui impazzava il Bathtub Gin, cioè un prodotto fatto in vasca da bagno. Qui si miscelavano alcol e spezie seguendo la tecnica Cold Compounding. Ambrato perché non filtrato, il Gin Clandestino è aromatico, profumato e dal gusto intenso e complesso. Il ginepro è in primo piano, seguito dal coriandolo e alcune note balsamiche.
  8. Elio Carta non conosceva il gin: “quando ero studente non lo producevamo“. Ora la sua azienda Silvio Carta, che porta il nome del padre da cui l’ha ereditata, ne distilla 4 tipi con la tecnica discontinua. C’è il Giniu, il prodotto di punta ispirato al classico London dry e arricchito con gli odori iodati del mare. E ancora: BoiGin, aromatizzato agli agrumi; il Pigskin, affinato nelle botti di castagno anticamente usate per la Vernaccia di Oristano; il Grifu, arricchito da salvia e lentischio; l’Old Grifu, agrumato e arricchito di erbe spontanee di Sardegna. Come ultima novità, c’è il Pink Pigskin. Quest’ultimo distillato si riallaccia a uno dei trend del momento, il Gin rosa: prende il suo colore da un passaggio su un letto di bacche di mirto.
  9. A Faver, nel cuore della Val di Cembra, sorge la Distilleria Pilzer. Nata da un’antica tradizione – quella del lambicar trentino – e da un’idea di papà Vincenzo, oggi Bruno e Ivano hanno traghettato questa azienda nel ventunesimo secolo sotto il segno dell’eccellenza. Accanto a sontuose grappe e brandy made in Italy, ecco che nasce il Gin Pilz. L’etichetta omaggia il gioco del curling, eccellenza del territorio: per vincere una partita ci vuole allenamento, passione e pazienza e anche un pizzico di fortuna. Proprio come per preparare questo prodotto. Le montagne offrono i botanicals e le bacche di ginepro, ma soprattutto donano l’acqua.
  10. Fred Jerbis è un alchimista che studia il suo territorio e da anni esamina i botanicals. Grazie a un team composto da un aromatiere, un liquorista, un erborista e un distillatore nasce Gin Fred Jerbis, oggi disponibile in molte versioni, compresa quella rosa, il Gin Mombasa Strawberry Edition. È proprio Jerbis che spiega il motivo dell’esplosione del rinascimento del gin in Italia. In realtà infatti questo distillato di origini olandesi, divenuto un simbolo del Regno Unito, affonda le sue radici nel nostro Stivale. Infatti, nel manuale di medicina Compendium Salerni, la scuola medica di Salerno già approfondiva i benefici del ginepro nel 1055 d.C.