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Ristorazione: le associazioni di categoria e la difficoltà di fare rete

di Lorenzo Farina 23 Giugno 2020 11:30

Manca un’associazione di categoria che rappresenti la ristorazione. Abbiamo chiesto un’opinione ad alcuni imprenditori ristoratori.

Il settore della ristorazione è da sempre percepito come un comparto rigoglioso, importante per la nostra economia e in costante crescita nonostante le tante difficoltà affrontate negli ultimi anni. non esiste al momento un'associazione di categoria unica e unita Le nostre percezioni non sono poi così sbagliate, sono i numeri a confermarcelo. Tuttavia, se c’è una cosa che abbiamo scoperto durante l’epoca Covid e su cui dovremmo riflettere tutti quanti (giornalisti, imprenditori ed esperti di comunicazione), è la poca rilevanza a livello politico del settore ristorativo. Un problema sicuramente dovuto alle mancanze della classe politica e dirigenziale italiana, ma anche all’incapacità degli imprenditori  di fare rete e alla difficoltà di creare un’associazione di categoria unica, unita e omogenea.

I numeri della ristorazione in Italia secondo FIPE

Il terzo mercato europeo dopo Spagna e Regno Unito, il 35,7% dei consumi alimentari per un giro d’affari di 86 miliardi di euro. Dal 2008 un incremento reale del 5,7% circa 5 miliardi; 20 miliardi il valore dei prodotti acquistati nella filiera agroalimentare. manca una rappresentanza all'interno del dibattito politico per la categoria Il 10,4% degli italiani mangia fuori tutti i giorni, il 62% cena al ristorante almeno due volte al mese e il 5,6% dalle tre alle quattro volte a settimana. Sono questi alcuni dei numeri della ristorazione in Italia secondo il rapporto  FIPE (federazione italiana pubblici esercizi) relativo al 2019. 336 mila imprese, 1,2 milioni di occupati e troppo poco peso politico. Numeri che saranno indubbiamente stravolti per il 2020, ma che dimostrano quanto la ristorazione sia un settore centrale. Eppure la pandemia ci ha dimostrato quanto poco siano rappresentate le esigenze del comparto all’interno del dibattito politico. La FIPE gioca da sempre un ruolo marginale vista l’eterogeneità delle categorie rappresentate: bar, ristoranti, stabilimenti balneari, discoteche, casinò ecc. Talmente marginale che molti imprenditori hanno preferito riunirsi nelle tante piccole associazioni di categoria spesso su base locale, ma che non hanno voce in capitolo a livello nazionale.

Parola agli imprenditori e ristoratori

Se è vero che la politica ha lasciato nel dimenticatoio una categoria così rilevante  come i ristoratori, è anche vero che da parte di questi ultimi troppo spesso prevale un atteggiamento individualista. Abbiamo chiesto un parere alla chef Cristina Bowerman, presidente degli Ambasciatori Del Gusto; una delle associazioni più importanti che, specialmente durante il lockdown, ha tentato di far emergere la voce di tutto il settore.

Con quali intenti nasce questa associazione, Cristina?
Noi siamo nati sul principio dell’inclusività, non rappresentiamo solo gli chef ma un comparto ben più ampio: pasticcieri, pizzaioli, panificatori, professori ecc. Abbiamo quindi cercato di spaziare il più possibile in base a questo principio e di far nascere progetti diversificati, come quello  sulle condizioni psicologiche all’interno delle cucine, ora fermo per ovvi motivi. Sul lungo termine l’obiettivo è senza dubbio quello di creare una voce unica. Possiamo chiamarla una lobby, anche se spesso questa parola ha un’accezione negativa in Italia; in realtà si tratta, in totale buona fede, di una associazione che sia in grado di riportare gli interessi della propria categoria all’interno del dibattito politico.

Cercate di rappresentare gli interessi di tutto il comparto e non solo dei vostri iscritti, quindi?
Certo. La gran parte dei nostri progetti sono proprio a sostegno di tutto il settore. Vien da sé che nasciamo anche con l’intento di dialogare con le istituzioni e di far approvare provvedimenti che possano andare a nostro favore. Non vogliamo essere un’associazione di cuochi che si limita a valorizzare la bontà delle proprie cucine.

In questo periodo di difficoltà avete fatto molto per il comparto, come la lettera al governo con le 6 manovre economiche da cui ripartire: hai notato un atteggiamento differente da parte delle istituzioni?
Non posso pensare che le nostre azioni non siano servite a nulla. Alcune delle nostre richieste – come il prolungamento della cassa integrazione – sono state accolte, quindi un riscontro sicuramente positivo. Tuttavia c’è ancora molto da fare. Su molte tematiche non siamo stati interpellati e credo che il supporto di chi vive di questo lavoro possa essere fondamentale per risolvere alcune problematiche.

Dalla parte dei tuoi colleghi hai trovato una maggiore propensione a fare rete?
Devo ammetterlo, l’italiano non nasce per fare gruppo: dire che ci sia una voce unica che rappresenta gli interessi di tutto il settore è utopico. Tuttavia riuscire finalmente a ottenere dei risultati andando oltre gli interessi individuali è sicuramente un successo. L’importante poi è provarci, formare un gruppo e riuscire a fare pressione sulle istituzioni, magari sbagliando: solo chi fa può sbagliare.

Questa difficoltà nel collaborare credi che sia un problema solo italiano? 
Sicuramente è un problema culturale italianissimo. La nostra è una nazione complicata, frammentata, ce lo insegna la storia e tutte le influenze culturali che abbiamo ricevuto. Il risultato è che difficilmente riusciamo a fare gruppo tra di noi. Io continuo a sostenere che l’unione fa la forza e non ho mai vissuto i miei colleghi come dei rivali. Con l’associazione Ambasciatori Del Gusto cerchiamo di uscire da questa logica: un obiettivo che riusciamo a raggiungere è un vantaggio, non solo per i nostri iscritti, ma per tutta la categoria perché lavoriamo in un’ottica collettiva; lavoriamo per creare quella voce unica, unita e omogenea di cui abbiamo tanto bisogno.

Oltre ad aver intervistato Cristina Bowerman, abbiamo raccolto le opinioni di altri ristoratori e imprenditori riguardo al problema della mancanza di un’associazione di categoria.

  1. Senio Venturi, chef e proprietario del ristorante L’Asinello di Villa a Sesta-Castelnuovo Berardenga in provincia di Siena: “Una crisi come questa sarebbe stata l’occasione. L’occasione per capire il significato di collaborazione, di unità di intenti. A oggi credo di poter dire che questa occasione è stata persa. Non abbiano assistito a un dibattito, ma a una bizza senza fine. Quando la morsa del virus si è attenuata è stato abbastanza chiaro che, come tra bambini, avrebbe ottenuto di più chi avesse alzato più la voce. Non importava cosa si dicesse, ma quale fosse il volume. L’unica soluzione a oggi è quella di lavorare a testa bassa, cercando di ammortizzare le difficoltà con le proprie forze. Con il rimpianto di immaginare quanto questo settore sarebbe potuto crescere se solo chi governa ci avesse dato più ascolto e se solo noi fossimo stati in grado di parlare con una voce unica e meno egoistica”.
  2. Gastone Pierini, proprietario del ristorante Moma di Roma: “Dopo pochi giorni dalla riapertura, dobbiamo prendere atto che la nostra categoria ha bisogno, oggi più che mai, di una associazione molto più forte e compatta che possa riportare le istanze degli imprenditori nel dibattito, nelle scelte che incidono sul tessuto economico e sociale in maniera più autorevole. Riconosco però che il primo cambiamento per affrontare proprio queste difficoltà, dovrà avvenire dentro di noi. Occorre più partecipazione e più fermezza: dovremo noi stessi impegnarci di più e non delegare qualsiasi cosa, come fatto sinora.  Dobbiamo assolutamente ripartire dal fare rete tra noi, ed essere più convinti di ciò che facciamo: proprio in merito a questa considerazione, che insieme ad altri amici noi di R.O.M.A. (Ristoratori Ostinati Maestri Artigiani) siamo già a buon punto nel costituire una nuova associazione, sorta di patto fra produttori e fra produttori e cittadini“.
  3. Daniele Frontoni, proprietario del ristorante Jacopa e dell’Hotel San Francesco di Roma: “Per diversi anni sono stato presidente dei giovani albergatori di Federalberghi Roma a dimostrazione del fatto che credo moltissimo nelle associazioni di categoria. Ma la loro capacità di incidere nelle decisioni delle istituzioni è tanto maggiore quanto lo è la loro rappresentatività. A chi fa il mio stesso mestiere consiglio di rivolgersi alle associazioni più importanti e strutturate. So che molti non le vedono di buon occhio, ma bisogna cominciare a viverle dall’interno e capire come funzionano per poter giudicare. Se poi  il loro operato non convince, si potrà spingerle al cambiamento, ma dall’interno“.
  4. Carlo Maddalena, proprietario di Giulia Restaurant di Roma: “Il fatto che non abbiamo un’ associazione di categoria che ci possa rappresentare a livello politico è un problema molto serio con cui faccio i conti da 25 anni. Però, è anche colpa nostra. Siamo una categoria che da sempre campa sul mors tua vita mea: pensiamo solo al nostro orticello, purtroppo. L’unico ente che ci rappresenta è la FIPE, ma è una federazione eterogenea e ovviamente non ha il fuoco su quelle che sono le peculiari esigenze della ristorazione. Il risultato è che non riusciamo ad ottenere nulla, se non come singola attività, ma spesso è insufficiente“.
  5. Luca Costanzi, direttore del ristorante Mirabelle dell’Hotel Splendide Royal di Roma: “La ristorazione è lasciata a sé. La mancanza di un’associazione di categoria è solo una parte del problema. Secondo me ci sarebbe bisogno anche di un ministero che, insieme a quello del turismo, possa rappresentarci. Manca uno spirito di gruppo e di propaganda congiunta, perché senza il turismo l’alta ristorazione non sta in piedi. Abbiamo bisogno di maggiori tutele dalla politica, così come avviene in tanti altri paesi e per farlo è necessario qualcuno che ci rappresenti“.
  6. Pier Daniele Seu, chef e proprietario di Seu Pizza Illuminati di Roma: “Noi facciamo parte degli Ambasciatori Del Gusto e con questa associazione stiamo facendo qualcosa di importante e stiamo riuscendo ad avere i primi risultati. Questo periodo però ha dimostrato che siamo ascoltati ancora troppo poco: per fare un piano della ripartenza è necessario che ci sia qualcuno che vive di ristorazione ogni giorno. I finanziamenti e le casse integrazioni ancora devono arrivare, così come i sussidi. A marzo abbiamo fatto richiesta al Comune di Roma per i tavoli all’esterno e ancora non riceviamo l’autorizzazione. All’estero molti locali hanno già ricevuto gli aiuti“.
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