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Cucine da Incubo: intervista ad Antonino Cannavacciuolo

di Francesco Canino • Pubblicato 12 Maggio 2014 Aggiornato 9 Giugno 2014 14:43

Antonino Cannavacciuolo, chef del Villa Crespi, ritorna a seminare il panico tra i ristoratori di tutta Italia con la seconda stagione di Cucine da Incubo.

Ad Antonino Cannavacciuolo è bastata una stagione di Cucine da Incubo per diventare un fenomeno ultra-pop. Idolatrato dai critici gastronomici e dai gourmand incalliti, grazie al programma di FoxLife è stato sdoganato al grande pubblico, capace com’è di piacere un po’ a tutti con quell’aria da finto burbero che nasconde carisma e determinazione. lo chef antonino cannavacciuolo risponde alle domande di Agrodolce E dopo la prima infornata di popolarità, ora lo chef di Villa Crespi punta al bis con la seconda stagione del format lanciato da Gordon Ramsay in onda dal 7 maggio scorso, ogni mercoledì alle ore 21 sul canale 114 di Sky. Agrodolce l’ha incontrato qualche settimana fa a margine dell’anteprima per la stampa della prima puntata, nella quale Cannavacciuolo ha tentato la disperata impresa di risollevare le sorti del Golfo di Mondello, ristorante siciliano di Milano, in zona Loreto. La gamma di emozioni è completa: dalle risate per le espressioni surreali dello chef, alla commozione per il percorso di cambiamento dei protagonisti, fino all’addios con cui Cannavacciulo si congeda e chiude la puntata. Ecco cosa ci ha raccontato del programma e di molto altro ancora.

Cannavacciuolo

Chef, partiamo da Cucine da Incubo 2. Dopo il tremendo coniglio acido dello scorso anno, diventato un tormentone virale, qual è stato il vero incubo di questa seconda stagione?
La busta con le verdure grigliate surgelate. Non sapevo nemmeno che esistesse. Mi sono arrabbiato due volte: la prima quando ho scoperto che rifilavano quella roba ai clienti, la seconda quando ho visto che poco distante c’era un meraviglioso orto. Doppio incubo che non augurerei a nessuno“.

Nelle dieci puntate della seconda stagione ti vedremo stravolgere 10 ristoranti, dal Piemonte alla Sicilia. Complice il digitale terrestre, i tele-fornelli sono sempre accesi: non ci sono un po’ troppi i programmi di cucina in tv?
Che cosa deve trasmettere la televisione, solo calcio a tutte le ore e tutti i giorni? Ben vengano questi programmi: noi siamo ai primi posti come qualità e varietà d’ingredienti e la nostra cucina ce la invidiano in tutto il mondo. Oggi tra l’altro è una delle attività che offre più posti di lavoro e non parlo solo di alberghi e ristorante, ma di tutto l’indotto. Dunque ben vengano i programmi di cucina“.

Ma come te lo spieghi questo successo, con cooking show che diventano veri e propri fenomeni mediatici?
C’è attaccamento alla cucina perché c’è la voglia di capire ciò che si mangia e la complessità che c’è dietro a un piatto. E poi c’è chi vuole imparare a cucinare: una volta c’erano la nonna e la mamma ai fornelli, poi le donne hanno iniziato a lavorare. Oggi si sposano a trent’anni e non sanno fare niente in cucina. Guardano i programmi per capire da Cannavacciuolo come fare il purè perché non sanno da che parte cominciare o copiano da Cracco per lo spaghetto al pomodoro. Mia mamma si attaccava alla cucina e per la tivù non aveva tempo“.

Cannavacciuolo-Incubo

A proposito di tua mamma, hai imparato a fare meglio di lei la parmigiana?
Lo chef sorride: “Forse sì“.

Nel tuo libro, In cucina comando io, parli spesso di lei ma anche di tuo padre, da cui dici di aver imparato “l’umiltà, il senso dei miei limiti e la voglia di migliorare senza mai sentirsi arrivati”. Neppure dopo la prima stella Michelin ti sei sentito arrivato?
Arrivato? Non si arriva mai, soprattutto in questo mestiere. Ora ho 39 anni e già so che tra dieci anni ci saranno i trentenni che mi faranno un culo così e dovrò ricominciare e rimettermi in discussione. E quando uno si mette tutti i giorni in discussione, significa che non è arrivato. Detto questo, bisogna sempre avere rispetto per il passato e per i grandi chef perché ce ne sono alcuni che hanno cambiato la storia della cucina italiana“.

Quali consigli daresti ai ragazzi che oggi frequentano la scuola alberghiera, che vive un nuovo boom di iscrizioni in questi ultimi anni?
Io sono un po’ arrabbiato con la scuola alberghiera, soprattutto da quando c’è la sperimentazione che impone ai ragazzi di fare un po’ tutto, dalla sala al ricevimento fino alla cucina. Non è giusto: se io m’iscrivo e ho chiaro l’obiettivo di voler fare il cuoco, perché mi devi far fare la portineria o il cameriere? Quelle ore concentriamole piuttosto in cucina: io ne facevo 18 a settimana, oggi mi pare che ne facciano 2 o 3 che sono troppo poche. Il rischio è che dopo cinque anni debbano ricominciare da zero“.

la sonrisa
La Sonrisa

Non tutti sanno che il tuo esordio in cucina l’hai fatto nel 1990 alla Sonrisa. L’hai mai guardata una puntata de Il boss delle cerimonie, programma cult di Real Time?
Lo chef ride di gusto: “Ho visto solo qualche scena. Però una cosa te la voglio dire: mi ricordo giornate incredibili, domeniche con sedici comunioni, cinque o sei matrimoni al giorno. C’è stato un momento durante la mia carriera in cui ho pensato di aver perso due anni della mia vita lì dentro. Oggi che vengo chiamato per cucinare anche per 700/800 persone alla volta e le faccio mangiare in meno di un’ora, penso che La Sonrisa professionalmente mi ha dato tanto“.

In un passaggio del libro racconti di quella volta, alla vigilia del tuo primo stage in cucina, in cui chiedesti a tuo papà se ti avrebbero pagato. Lui ti rispose: “Siamo noi che dobbiamo pagare loro”. Ma alla fine ti pagarono?
Mi fecero un regalo dopo quattro mesi, una busta con dei soldi. Oggi che ho in cucina parecchi giovani, capisco cosa voleva dire mio padre, perché ogni due o tre minuti sento rumore di piatti e bicchieri rotti. A fine giornata mi dovrebbero pagare loro, perché il materiale che si usa in ristorante ha un costo notevole” e sorride.

Chiudiamo con un gioco. Domande veloci e risposte altrettanto rapide. Con cosa fai colazione la domenica mattina?
Vuoi arrivare al ragù vero? Nel libro racconto di quando ero bambino e la domenica mattina mi svegliavo col profumo del sugo di mia madre: sono momenti indimenticabili. Facevo colazione con pane e ragù, oggi con caffè doppio per carburare più rapidamente“.

Cinzia-e-Toni
Antonino con la moglie Cinzia

Tua moglie Cinzia sa fare da mangiare?
Ama il crudismo, dal pesce alle verdure, e apprezza molto i cereali e i legumi. Perciò quando sto a casa preferisco cucinare io“.

La tua cucina è un incontro alchemico tra la gloriosa tradizione campana e quella piemontese. Del Piemonte, qual è la ricetta che ami di più?
Il vitello tonnato. Ma quello vero, con la V maiuscola, non quello fatto con il tonno di scatola mischiato alla maionese: in pochi lo sanno fare, l’80% è finto“.

Il piatto campano che avresti voluto inventare tu?
La Genovese, partendo dalla ricetta originale che è nata dal nulla. È la storia che c’è dietro a un piatto che fa la differenza. Sai quanta gente mi ha scritto dicendomi ‘Guarda che nel libro c’è un errore: hai scritto 20 grammi di manzo? L’idea invece era proprio quella di tramandare la storia che hanno raccontato a me e che mi ha coccolato quando ero piccolo: la Genovese nasce senza carne perché è stata inventata dai marinai e nel porto avevano solo cipolle, alloro, mezza carota e pochissima carne“.

Cracco a Hell's Kitchen

Nelle scorse settimane è partito Hell’s Kitchen Italia, ti piace?
È un programma figo e secondo me Carlo Cracco spaccherà. Molto di più che con MasterChef perché esce meglio il suo carattere e la sua bravura come chef“.

A proposito: la pubblicità delle patatine come Cracco l’avresti fatta?
Ma perché dobbiamo sempre fare i professori e criticare il successo delle altre persone, quando tutti abbiamo mangiato quelle patatine? Pagherei mille euro per le foto di quelli che lo hanno criticato, per vederli buttati sul divano dove, fino a cinque minuti prima, guardavano la partita con una busta di patatine da cinque chili in mano“.

Ti sono arrivate proposte per fare da testimonial a prodotti strambi?
Sì, ma ognuno è libero di decidere della sua vita e dei suoi impegni lavorativi. Io sono uno che dà tanto alle persone, mi faccio volere bene ma poi mi devo togliere la pietra dalla scarpa, se è il caso: può esserci anche un marchio importante che mi offre soldi ma se nel passato mi ha girato le spalle, io dico di no. Sono dell’Ariete, non c’è niente da fare“.

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