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I 5 insegnamenti che la cucina italiana deve a Pellegrino Artusi

di Stefania Rigon • Pubblicato 20 Agosto 2019 Aggiornato 27 Gennaio 2021 12:19

Pellegrino Artusi è un personaggio iconico della cucina e della letteratura italiana: ecco quali sono secondo noi i suoi insegnamenti più importanti.

Quando ti chiedono un articolo su Pellegrino Artusi la prima cosa che ti viene da dire è: “quante pagine?”; quando ti specificano che deve trattare degli insegnamenti che la cucina italiana gli deve, invece pensi: ”quali scelgo?”. Perché l’Artusi (1820-1911), scrittore, viaggiatore, conoscitore di cucine come nessuno al suo tempo, di eredità ce ne ha lasciate tante, forse troppe per una persona sola. Queste sono le 5 che ho scelto dopo essermi messa a fare le uova ripiene II (ricetta n. 144) e la torta di patate (ricetta n. 641), perché l’Artusi non va solo letto, va anche cucinato e mangiato, gli vanno sporcate le pagine con le mani imburrate, gli va concesso il merito di essere stato il primo a farci vedere che l’Italia è un tutto, un organo vivo che ci nutre meravigliosamente senza badare a chi siamo o da dove veniamo.

  1. Ha raccolto tutti gli italiani in un ricettarioLa scienza in cucina e l’arte del mangiar bene è pubblicato, a spese dell’autore, nel 1891, trent’anni dopo l’Unita d’Italia. Raccogliendo in un’unica opera le ricette casalinghe e regionali, l’Artusi ha contribuito alla formazione della nostra identità nazionale forse molto di più dei suoi contemporanei dotati di armi e dichiarazioni in ceralacca. La cucina popolare che fino allora era tenuta separata dalle distanze geografiche e dai dialetti regionali, è riscritta adottando l’italiano quale idioma ufficiale, mettendo al bando l’uso del gergo francioso dei ricettari preunitari, fatto di “nomi che rimbombano e non dicono nulla”, e appunto, delle lingue dialettali, sconosciute e incomprensibili se non all’interno degli specifici territori. Il libro diviene quindi un codice alimentare e culinario per tutti, dalle Langhe piemontesi alle coste siciliane; il cibo come elemento che unisce pur nelle sue peculiarità, la cultura gastronomica di un popolo che solo a tavola, oggi come allora, sente di appartenere ad una sola nazione.
  2. L’importanza delle materie prime e il km 0 ante litteramTra le pagine dell’Artusi, tra tutte queste ricette identitarie del mangiare all’italiana, si trovano indicazioni, scritte sempre con una sintassi spigliata e un tono colloquiale, sull’utilizzo delle materie prime. Affascinante è leggere di come egli tratti sia di materie prime di grande qualità, ma anche dell’uso di risorse meno pregiate come le frattaglie e le interiora (midolli, cervelle, teste) purché sane secondo i principi dell’epoca, e descriva le tipologie di prodotti più opportuni da impiegare nelle diverse stagioni, con differenziazioni accurate sui  frutti dell’agricoltura e sulla pesca. Tra le pagine poi, l’Artusi rammenta spesso come sia migliore una buona cucina casalinga vicino ai luoghi di produzione del cibo, specialmente dagli allevamenti, che permetteva una maggior freschezza delle carni e più salubrità.
  3. Il metodo scientifico in cucinaLo dice il titolo stesso: la scienza in cucina. Il trattato contiene numerosi riferimenti ai saperi scientifici dell’epoca e porta al lettore spiegazioni efficaci con un linguaggio semplice, minimale ma corretto. Pellegrino Artusi procede con metodo empirico, tutte le ricette sono prima testate con l’ausilio dei cuochi Francesco Ruffilli e Marietta Sabatini e per la prima volta si indicano numericamente le dosi e i sistemi di dosatura, si descrivono le modificazioni chimico-fisiche degli alimenti, si parla di coaguli, amalgama, schiume e di come i diversi metodi di cottura portino all’esaltazione di alcuni cibi, allo sviluppo di determinate capacità nutritive e ai cambiamenti di sapore. È l’inventore della cottura a vapore e, seppur con strumenti rudimentali, forse il primo teorico della cucina molecolare.
  4. L’attenzione alla nutrizione e l’igieneOggi sappiamo che molte delle ricette raccolte hanno un apporto calorico eccessivo, che gli ortaggi vanno mangiati preferibilmente crudi e non solo in zuppe e stufati, e che è bene variare tra grassi animali e vegetali. All’epoca dell’Artusi, però, le conoscenze alimentari in pratica non esistevano eppure lui parlava di qualità degli ingredienti, efficacia del cibo e salute umana: “Non vi fate schiavi del vostro stomaco: questo viscere capriccioso, che si sdegna per poco, pare si diletti di tormentare specialmente coloro che mangiano più del bisogno“. E ancora: “Avvezzatevi a mangiar di ogni cosa. Quindi pietanze varie, ricche di proteine e grassi per il sostegno della vita faticosa delle classi popolari ma senza esagerare, il tutto con attenzione alla provenienza sana delle materie e all’utilizzo di metodi di conservazione corretti (famosa la parte dedicata alle conserve).
  5. La cucina popolare ma non povera. “Trattandosi di patate, non ridete del nome ampolloso perché come vedrete alla prova, non è demeritato. Se i vostri commensali non distinguono al gusto l’origine plebea di questa torta, occultatela loro, perché la deprezzerebbero. Molta gente mangia più con la fantasia che col palato e però guardatevi sempre dal nominare, almeno finché non siano già mangiati e digeriti, que’ cibi che sono in generale tenuti a vile per la sola ragione che costano poco o racchiudono in sé un’idea che può destar ripugnanza; ma che poi, ben cucinati o in qualche maniera manipolati, riescono buoni e gustosi”. Questo è l’incipit alla ricetta della torta di patate, n. 641, e qui l’Artusi riassume l’essenza della vera cucina italiana: ingredienti semplici, poveri se si pensa al costo in termini monetari, ricette da fare con cura e dedizione, conoscenze che arrivano da tradizioni popolari e casalinghe diverse per ogni regione d’Italia, qualche trucco per esaltare il tutto agli occhi dei commensali e amore per il mangiar bene.  Non è forse questa un’arte?