I migliori formaggi d’Italia: le regioni del Sud e le Isole
La varietà di formaggi italiani è davvero affascinante: concludiamo il nostro viaggio caseario in giro per la penisola con le regioni del Sud e le Isole.
Il nostro viaggio tra le delizie dell’arte casearia italiana prosegue e, dopo aver scoperto i formaggi del Nord e del Centro, arriviamo nel Meridione e nelle Isole maggiori alla scoperta delle eccellenze artigianali più insolite e invitanti.
Campania
Caciocavallo podolico degli Alburni. Tra i nobili formaggi del sud Italia, il Caciocavallo è diffuso in molte zone con infinite varianti. Semiduro a pasta filata, sembra diffondersi in europa durante le invasioni di popolazioni nomadi, e i termini qasqawal (Turchia), kackavalj (Serbia), katschkaval (Bulgaria), oltre ad altri esempi di poco difformi in Ungheria, Russia e Romania sembrerebbero confermarlo. In Irpinia, sui Monti Alburni, lo si produce da latte di vacche podoliche seguendo un’antica tecnica produttiva: al latte, a una temperatura di circa 36 °C, viene aggiunto caglio di vitello o, se si vuole ottenere un formaggio più piccante, di capretto. Rotta e sgrondata la cagliata più volte, si aggiunge altro siero riscaldato a circa 60 °C. Passate alcune ore si taglia la pasta e la si fila in acqua quasi bollente, quindi si modellano i caci che vengono rassodati in acqua, passati in salamoia e messi a maturare in ambienti freschi e ventilati legati in coppia, a cavallo di assi. Ottimo fresco, può stagionare fino a 24 mesi e oltre. Prodotto tutto l’anno, il migliore è quello estivo perché le mucche pascolano all’aperto cibandosi di erbe spontanee. A noi è piaciuto quello prodotto dal Caseificio Orco di Sicignano degli Alburni (SA).
Basilicata
Casieddu di Moliterno. Oltre che del famoso pecorino, Moliterno è anche patria di questa gustosa variante del cacioricotta, prodotta in estate con latte di capra dai pastori della Val d’Agri. Il latte, filtrato con foglie di felce, viene portato a quasi 100 °C nel caccavo, una caldaia di rame, con l’aggiunta di nepitella. Raffreddato, coagula con caglio di capretto in pasta, quindi si rompe la cagliata e si formano delle piccole sfere del diametro di circa 12 cm. Avvolto in foglie di felce e steli di ginestra si consuma fresco ma, se salato a secco, può stagionare fino a due mesi. Delizioso quello provato alla Latteria Salvia Maria di Tito (PZ), Contrada Serra.
Puglia
Canestrato Foggiano. Questo saporito pecorino della Daunia deve il nome al tradizionale canestro in giunchi che tradizionalmente conteneva la cagliata, imprimendo sulla crosta la tipica rigatura. Il latte ovino crudo viene rapidamente coagulato con caglio liquido a una temperatura di circa 38 °C, quindi la cagliata viene rotta e posta nei canestri, pressata a mano e nuovamente immersa nel siero bollente per pochi minuti. Il giorno dopo le forme vengono salate a secco con sale marino grosso. La stagionatura, che può arrivare ai 12 mesi, solitamente viene effettuata in grotte naturali trattando la rugosa crosta con olio d’oliva e aceto di vino. La pasta è compatta ma friabile, con lieve occhiatura, appena fondente ed elastica, di sapore marcato e piccante, e passa dal paglierino al giallo carico col passare dei mesi. Molto stagionato diventa un ottimo formaggio da grattugia. Da non perdere quello prodotto da Cordisco a San Paolo di Civitate (FG).
Calabria
Caprino della Limina. Questo gustoso formaggio, da latte crudo di capre dell’Aspromonte, viene prodotto alle pendici del Monte Limina in piccole quantità. Le capre pascolano allo stato brado nutrendosi di erbe spontanee che donano al latte, e ai formaggi, aromi e sapori complessi e molto caratteristici. Il latte viene coagulato con caglio di capretto in pasta, quindi la cagliata viene rotta con mestoli in legno di erica e, sgocciolata, viene inserita in fascere (fasceji) di giunchi e messa ad asciugare sulla mastreja, una tavola per la premitura manuale delle forme. Dopo circa una giornata le forme, oramai sgrondate, si tolgono dalle fascere e si mettono a stagionare in grotte e cantine, ungendo periodicamente la crosta con un’emulsione di olio d’oliva e aceto, a volte aggiungendo pepe rosso macinato. Fresco ha una pasta compatta ma elastica, tendente al morbido, e sapore delicato, ma con l’aumentare della stagionatura, che può protrarsi ben oltre l’anno, assume toni forti e sapore piccante. Viene utilizzato anche in molti piatti tipici della zona, come le Malangiane Chine (melanzane ripiene). Splendido quello prodotto da Agostino Camarda a Mammola (RC), Contrada Marasa, dove troverete anche la rarissima Ricotta Affumicata di Mammola.
Sicilia
Vastedda del Belice. Formaggio a pasta filata da latte di pecore di razza Valle del Belice, sembra debba il nome al termine dialettale vasto (guasto) perché i pastori, per non sprecare i formaggi che presentavano imperfezioni o inacidivano per via del caldo, li fondevano assieme ad alta temperatura. La Vastedda – che è anche il nome della ciotola che da la forma al formaggio – si produce con minime differenze in tutta la valle del Belice: il latte crudo viene coagulato con caglio di capretto o di agnello, quindi la cagliata viene rotta con un particolare bastone detto rotula. Dopo un periodo di riposo, la massa viene sgrondata in un panno di lino (oggi si usano anche fuscelle in plastica), poi si taglia in pezzi e, in recipienti di legno (cische), si ricopre con la scotta (il siero residuo dalla lavorazione della ricotta) a circa 80 °C per avviare la fermentazione. Si fila usando una particolare pala in legno detta vaciliatuma, quindi si mette nelle ciotole di ceramica, dove prende la classica forma di focaccia, e si immerge in salamoia per circa 48 ore. Va mangiata fresca, con le sue dolci note burrose ed erbacee, appena acidule, a volte condita con olio, pomodoro e origano. Noi non possiamo dimenticare quella prodotta da Salvatore Cucchiara a Salemi (TP).
Sardegna
Pecorino di Osilo. In Sardegna si contano oltre sette milioni di ovini, molti dei quali allevati allo stato semi brado, ed è naturale che si producano una grande quantità di formaggi di pecora. Tante le piccole differenze nelle produzioni, dovute alle tradizioni locali e alle peculiarità del territorio, che oggi rischiano di perdersi nell’omologazione di un unico, generico Pecorino Sardo. A Osilo, incantevole borgo medievale sul monte Tuffudesu, in provincia di Sassari, si produce un pecorino (Casu de Osile) più stretto di diametro e di scalzo maggiore, che beneficia del particolare clima (siamo a 650 metri di altitudine) e della vicinanza del mare, a sei chilometri in linea d’aria. Tra ottobre e luglio il latte crudo delle pecore locali, che si sono nutrite con la sagliosa, e cioé l’erba ricca di salsedine, viene lavorato come per i normali pecorini ma, dopo la rottura della cagliata, la massa viene lungamente pressata con attrezzi tradizionali, processo che rende il formaggio più pastoso e compatto. Durante la stagionatura, ottimale intorno ai sei mesi per il consumo a tavola, le piccole forme vengono periodicamente lavate con acqua e salamoia, ribaltate e unte con un’emulsione di olio e aceto. I profumi intensi di erbe aromatiche, fiori, fieno e legna secca, e la pasta morbida e fondente, dal sapore persistente di burro e nocciole tostate con un retrogusto salino, iodato, ne fanno un piccolo capolavoro del genere. Lo abbiamo scoperto, e ne abbiamo fatto incetta, a Bra in occasione dell’ultima edizione di Cheese dal referente per il Presidio Slow Food: Gavinuccio Turra, titolare del omonimo caseificio in Osilo (SS), Località Monte Luiu.
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